martedì 23 settembre 2008

Il ruolo della formazione nella gestione delle emergenze


Fig 1. Forme di pianificazione degli interventi di emergenza.



Fig. 2. Un percorso formativo in protezione civile.

La gestione degli interventi di soccorso in seguito a disastri, crisi ed emergenze è un campo relativamente nuovo ma, ciò nondimeno, può valersi di una tradizione di studio e ricerca che risale in origine dagli anni 1920 (Prince 1920, Barrows 1923) e che sia forte e sostenuta dal 1950 in poi. Mentre talvolta il campo viene incluso nei programmi di scienze del management, in realtà esso costituisce una disciplina in sé, fondata su diverse basi. I suoi obiettivi fondamentali sono quattro (Waugh e Tierney 2007):

- in situazioni di crisi, abbinare le risorse a disposizione con il fabbisogno urgente;

- permettere diversi enti ed organizzazioni di lavorare insieme in modo efficace sotto condizioni difficili e probabilmente insolite;

- comunicare con unità operative e centri operativi in modo tale da mantenere il livello di comando e controllo delle situazioni di crisi;

- applicare i provvedimenti del piano di emergenza, insieme a rilevanti protocolli operativi e patti di assistenza mutua, secondo le esigenze del disastro.

Questi processi richiedono una conoscenza di come lavorano le diverse organizzazioni ed i vari specialisti del soccorso. Quindi, la gestione delle emergenze (emergency management) è una disciplina trasversale (Phillips 2005), la quale deve sviluppare un linguaggio e una cultura in comune tra almeno 35 professioni e discipline che partecipano, in un modo o un altro, nel 'ciclo del disastro' (mitigazione, preparazione, risposta, ripristino e ricostruzione). Il processo di coordinare complessi lavori di emergenza richiede l'abilità di intendere e lavorare con gli esponenti delle varie discipline, in effetti di "parlare il loro linguaggio" al fine di poter capire i loro punti di vista e aiutarli ad affrontare l'emergenza in modo efficace (Alexander 2002).

La gestione delle emergenze è una disciplina olistica, concreta e dedicata alla soluzione di problemi pratici (McEntire 2003). Essa è fortemente legata alla pianificazione d'emergenza, alla gestione della continuità degli affari aziendali (business continuity management, BCM; Elliott et alii 2001), alla risposta medica all'emergenza ed ad altri campi di natura altamente pratica. Gli imperativi sono di salvare le vite umane, aiutare a coordinare il soccorso delle vittime, contenere e ridurre i danni, e assicurare un rapido ritorno ad accettabili condizioni normali.

Nel mondo moderno, ci sono numerose associazioni alle quali i coordinatori di emergenza possono aderire. L'Istituto di Protezione Civile e Gestione delle Emergenze (ICPEM, già Istituto di Difesa Civile e Studio dei Disastri) fu fondato nel Regno Unito nel 1937 ed è una società accademica a pieni titoli, la più antica del mondo. La UK Società di Pianificazione delle Emergenze (EPS) ha 3000 soci, mentre la Società Internazionale dei Coordinatori di Emergenza (IAEM) ha 4500. Quest'ultima offre una qualificazione professionale di validità mondiale, l'esame di Certified Emergency Manager (CEM). In tutto il mondo, IAEM promuove vigorosamente otto principi della gestione delle emergenze (vedi tabella n. 1). Da questi è chiaro che gestire le emergenze richieda doti come il leadership, l'abilità di coordinare, e in più una spiccata conoscenza dell'anatomia delle emergenze (Haddow e Bullock 2003).

A livello mondiale, esistono in commercio almeno 400 libri (in lingua inglese) di rilevanza alla gestione delle emergenze. Dal 1950 in questo campo e nelle materie affini almeno 19.000 libri e articoli accademici sono stati pubblicati, sempre in lingua inglese e a livello mondiale. Quando si insegna la gestione delle emergenze, è importante utilizzare i frutti della ricerca (Coppola 2008) e abbinare la teoria con l'esperienza derivata dalla gestione degli eventi del passato (Alexander 2000). Entrambi questo aspetti sono indispensabili. La teoria fornisce una specie di "carta stradale" delle situazioni caotiche di emergenza (Drabek 2006). Utilizzando le nozioni teoriche come guida, le persone formate in questo settore devono capire processi assai complessi. Sono inclusi nell'elenco comando e controllo, evacuazione, analisi della vulnerabilità (sociale, economica e fisica), comunicazione (di nuovo con componenti sociali e fisici), preavviso, ricerca e salvataggio, e risposta medica e sanitaria alle emergenze.

Un coordinatore delle emergenze deve essere in grado di creare, disseminare, mantenere, applicare e aggiornare piani di emergenza di tre tipi (Fig. 1). Per primo c'è il piano permanente che dispone le risorse in caso di crisi. Questo richiede la formulazione (con grande rigore) di scenari che raffigurano la dinamica dell'impatto e della risposta, la perizia delle risorse a disposizione e le procedure da applicare. In secondo luogo, ci sarà la pianificazione di contingenza pre-impatto e poi, in terzo luogo, la pianificazione strategica a corto termine da formulare durante la fase di emergenza. I piani di tutti i tipi devono essere compatibili tra diversi livelli della pubblica amministrazione, diversi territori e giurisdizioni, e diversi servizi di emergenza. Esiste anche una dimensione internazionale che include l'Unione Europea e l'Organizzazione delle Nazioni Uniti, ad esempio riguardo la Strategia Internazionale per la Riduzione dei Disastri (UN-ISDR) e l'Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari (UN-OCHA). Il lavoro di coordinamento della risposta alle emergenze può essere locale, interregionale (nel caso di un'emergenza nazionale) o europeo (nel caso di un evento che incide su più di una nazione oppure che sia così grande da richiedere l'immissione di risorse dall'estero). Può interessare i paesi in via di sviluppo, come nel caso delle missioni umanitarie. In qualsiasi caso, per la pianificazione e la gestione di queste contingenze metodologie standardizzate esistono e devono essere insegnate (ISDR 2005).

In termini di pericoli e scenari, il moderno coordinatore di emergenza deve capire e rispondere ad una vasta gamma di rischi ed eventi. Le calamità naturali come alluvioni e terremoti costituiscono una categoria. I rischi tecnologici come scontri del trasporto e rovesci tossici costituiscono un'altra. Una terza è composta di rischi sociali come raduni e proteste di massa, e infine la quarta categoria consiste nel rischio di atti intenzionali, il terrorismo, la quale abbraccia anche la raccolta di intelligence e l'intervento militare e di difesa civile. In più ci sono i rischi emergenti (Schieb 2006). Di questi le pandemie sono generalmente considerate quello più pressante, seguito dagli effetti del cambiamento del clima e l'interruzione dei servizi di base, oppure la compromissione della catena del cibo. In base a questi rischi il panorama della protezione civile potrebbe cambiare radicalmente in soli pochi mesi, e quindi la flessibilità è una qualità vitale da insegnare al coordinatore degli interventi di emergenza (vedi tabella n. 1).

Nel settore del coordinamento delle emergenze è in atto una rivoluzione di tecnologia di comunicazione ed informazione. Questa ha avuto effetti profondi sulla risposta a disastri e crisi (Marincioni 2007). Quindi, è importante insegnare sia gli aspetti tecnici che il lato umano della comunicazione, compresa l'apposita ricerca in sociologia, psicologia e percezione. Dato che circa l'80% della pianificazione di emergenza costituisca un problema geografico e territoriale, i sistemi di informazione georeferenziata (GIS) sono un arnese essenziale (Dubois et alii 2006). Questi servizi ed attività saranno probabilmente concentrati nel centro operativo e il coordinatore di emergenza deve acquisire una piena conoscenza del suo potenziale e delle sue funzioni.

Recentemente è successa un'enorme crescita nella gestione della continuità degli affari aziendali (BCM--vedi sopra). Questa nuova disciplina è stata applicata sia al settore pubblico che a quello privato dell'economia. Il suo obiettivo principale è di rendere le aziende e le amministrazioni pubbliche resistenti ai disastri e alle crisi, e permetterle di superare i disagi senza andare in fallimento, il quale è un rischio assai forte per aziende non preparate. Per gli enti pubblici in tempi di disastro si tratta di evitare sostanziose interruzioni ai loro servizi. Nel promuovere le preparazioni, il coordinatore di emergenza gioca un ruolo fondamentale (Halliwell 2008).

In sintesi, il coordinatore di emergenza deve contribuire a creare resilienza. Questo termine deriva dalla reologia, la scienza dei materiali, e sta rapidamente diventando una distinta filosofia dell'organizzazione contro pericoli, rischi, crisi e disastri (Batabyal 1998). Nel creare resilienza, la sfida è di assicurare la professionalizzazione dei coordinatori di emergenza tramite la rigorosa applicazione della formazione e la creazione di titoli riconoscibili e rispettati. E' anche importante assicurare che il lavoro della gestione delle emergenze sia nelle mani di professionisti ben formati, in altre parole che ci sia un ruolo istituzionale per i laureati in questa materia. Grande progresso viene fatto in alcuni paesi, in particolare il Regno Unito, gli Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Svezia e India (Berkes 2007). E' importante che l'Italia non sia lasciata in dietro.

Se la formazione è il motore della professionalizzazione del ruolo del coordinatore di emergenza, quale è la forma migliorare di organizzarla? Nonostante le attrazioni di percorso di laurea di base in protezione civile, emerge un consenso che la soluzione più adatta è quella della laurea superiore. Una laurea di base in un'altra materia (sociologia, architettura, ingegneria, geologia, psicologia o qualsiasi disciplina attinente ai lavori di riduzione dei disastri) può servire come preparazione solida e profonda su cui poggiare l'esperienza lavorativa in protezione civile e la formazione trasversale (cioè interdisciplinare), offerta come laurea di specializzazione (Fig. 2). In quest'ultima, il corsista, già maturo negli studi, impara a coordinare, gestire e colloquiare con diversi specialisti in modo tale da creare la 'cultura comune' di cui la protezione civile ha forte bisogno (Neal 2000). Il prodotto di un percorso del genere dovrebbe essere una persona dotata di flessibilità e capacità di adattamento, due qualità essenziali nelle situazioni di emergenza e di rischio.

Citazioni

Alexander, D.E. 2000. Scenario methodology for teaching principles of emergency management. Disaster Prevention and Management 9(2): 89-97.

Alexander, D.E. 2002. Principles of Emergency Planning and Management. Terra Publishing, Harpenden, UK; Oxford University Press, New York, 340 pp.

Barrows, H.H. 1923. Geography as human ecology. Annals of the Association of American Geographers 13: 1-14.

Batabyal, A.A. 1998. The concept of resilience: retrospect and prospect. Environment and Development Economics 3(2): 235-239.

Berkes, F. 2007. Understanding uncertainty and reducing vulnerability: lessons from resilience thinking. Natural Hazards 41(2): 283-295.

Coppola , D.P. 2008. The importance of international disaster management studies in the field of emergency management. In Emergency Management in Higher Education: Current Practices and Conversations. Public Entity Research Institute, Fairfax, Virginia (Capitolo 5).

Drabek, T.E. 2006. Social Dimensions of Disaster: a teaching resource for university faculty. Journal of Emergency Management 4(5): 39-46.

Dubois, G., E.J. Pebesma e P. Bossew 2006. Automatic mapping in emergency: a geostatistical perspective. International Journal of Emergency Management 4(3): 455-467.

Elliott, D., E. Swartz e B. Herbane (curatori) 2001. Business Continuity Management: A Crisis Management Approach. Routledge, Londra, 206 pp.

Haddow, G.D. e J.A. Bullock. 2003. Introduction to Emergency Management. Butterworth-Heinemann, Londra, 272 pp.

Halliwell, P. 2008. How to distinguish between 'business as usual' and 'significant business disruptions' and plan accordingly. Journal of Business Continuity and Emergency Planning 2(2): 118-127.

ISDR Secretariat 2005. Know Risk. Tudor Rose, Londra, 376 pp.

Marincioni, F. 2007. Information technologies and the sharing of disaster knowledge: the critical role of professional culture. Disasters 31(4): 459-476.

McEntire, D.A. 2003. Searching for a holistic paradigm and policy guide: a proposal for the future of emergency management. International Journal of Emergency Management 1(3): 298-308.

Neal, D.M. 2000. Developing degree programs in disaster management: some reflections and observations. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 18(3): 417-438.

Phillips, B.D. 2005. Disaster as a discipline. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 23(1): 111-140.

Prince, S. 1920. Catastrophe and Social Change: Based Upon a Sociological Study of the Halifax Disaster. Studies in History, Economics and Public Law no. 94. Colombia University Press, New York, 151 pp.

Schieb, P-A. 2006. Emerging risks and risk management policies in selected OECD countries. In W.J. Ammann, S. Dannenmann e L. Vulliet (curatori) Risk 21: Coping with Risks Due to Natural Hazards in the 21st Century. A.A. Balkema, Taylor & Francis, Londra: 31-40.

Waugh, W.L. Jr e K. Tierney 2007. Emergency Management: Principles and Practice for Local Government (2a edizione). ICMA Press, International City Management Association, Washington, D.C., 366 pp.

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Tabella n. 1. I principi IAEM della gestione dell'emergenza

1. Comprensiva: per quanto riguarda i disastri, i coordinatori di emergenza dovrebbero prendere in considerazione tutti i rischi, tutte le fasi, tutti gli impatti e tutti gli interessati.

2. Progressiva: i coordinatori di emergenza dovrebbero anticipare i disastri del futuro e prendere misure preventive e preparatorie atte a creare comunità resilienti e resistenti ai disastri.

3. Gestione dei rischi: nel coordinare le priorità e le risorse, i coordinatori di emergenza dovrebbero utilizzare buoni principi di gestione dei rischi, basati sull'identificazione dei pericoli, nonché sull'analisi dei rischi e degli impatti.

4. Integrata: i coordinatori di emergenza dovrebbero assicurare una certa unità tra tutti i livelli della pubblica amministrazione e tutti gli elementi della comunità.

5. Collaborativa: i coordinatori di emergenza dovrebbero creare e mantenere rapporti larghi e sinceri tra persone ed organizzazioni atti ad incoraggiare fiducia, promuovere un'atmosfera da squadra, creare consenso e facilitare comunicazione.

6. Coordinata: per arrivare ad obiettivi comuni, i coordinatori di emergenza dovrebbero sincronizzare le attività di tutti gli interessati.

7. Flessibile: quando si tratta di affrontare la sfida dei disastri, i coordinatori di emergenza dovrebbero utilizzare approcci creativi e innovativi.

8. Professionale: i coordinatori di emergenza dovrebbero utilizzare un approccio basato su principi scientifici, radicati nella conoscenza accademica della materia, con ampio riferimento alla formazione, l'addestramento, l'etica, il servizio pubblico e il costante miglioramento.

NB: Questo principi costituiscono la base della definizione del profilo professionale del coordinatore di emergenza, come utilizzato nell'esame del CEM – Certified Emergency Manager.
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