Al momento di scrivere queste parole, ancora una volta un grande disastro sismico è appena successo in un paese afflitto da povertà e destituzione. Haiti è una nazione di 10 milioni di abitanti, la più povera nell'emisfero occidentale. Essa gode il rango di 149 su 182 paesi elencati nell'indice di sviluppo umano (human development index) dell'UNDP, di un reddito pro capite di $610, di una durata media della vita di 61 anni e di un'analfabetismo tra adulti del 38%. Le statistiche, comunque, sono troppo aride da poter spiegare le sofferenze inerenti in questa situazione. Inoltre, Haiti è soggetta a frequenti alluvioni e talvolta a uragani, come Jeanne del 2004. Non aveva avuto un grande terremoto quasi dalla sua fondazione, ovvero dal 1770, ma così si trova nei 'gap' sismici dei margini delle zolle tettoniche, le zone dove la deformazione della crosta terrestre aumenta al punto di una gigantesca e brusca rottura.
Il terremoto del 12 gennaio 2010 era potente (M=7,1), poco profondo di ipocentro (il punto iniziale di rottura della crosta terrestre), e con un epicentro a soli 16 km da Port au Prince, un'area metropolitana che contiene il 20% della popolazione nazionale. Scrivo solo tre giorni dopo la catastrofe, ad un punto in cui non esiste ancora indicazione delle cifre di mortalità e morbosità. Probabilmente queste quantità non verranno mai stabilite con accuratezza, tali sono i problemi di raccolta dei dati un un paesi come Haiti.
Mentre nei paesi ricchi, i grandi disastri possono assorbire qualcosa come lo 0.2% delle risorse nazionali, la proporzione può essere ordini di magnitudo più grande nei paesi poveri. Sia Haiti che Nicaragua hanno trovato il loro sviluppo economico ritardato di decenni a causa della devastazione causata dai disastri naturali, compresa la perdita di occupazione, infrastruttura ed altri beni di rilievo nazionale, e un carico insopportabile di ripristino e ricostruzione. Infatti, con l'aggiunta di instabilità politica e militare, e di corruzione, alcune parti di Managua, Nicaragua, non sono ancora state ricostruite dopo il terremoto del 1972.
In un senso più positivo, l'avvenimento di una grande catastrofe naturale (un fenomeno politicamente neutro, si nota) offre una buona opportunità di rinforzare i processi di riconciliazione e costruzione di governance tramite l'esercitazione a livello internazionale di "diplomazia dei disastri", una neodisciplina ormai quasi radicata. D'altronde, la comunità internazionale non ha ancora mostrata grande interesse nell'investire pesantemente nella prevenzione dei disastri, neanche quando grandi eventi hanno graficamente dimostrato il fabbisogno. Ad esempio, quando Uragano Mitch colpì 8 nazioni dell'America Centrale e dei Caraibi, i paesi ricchi organizzarono un pacchetto di aiuti del valore di meno del 3% di quello che contemporaneamente stessero spendendo sul salvataggio degli investitori dei hedge funds di Wall Street, in effetti il salvataggio dei giocatori di azzardo finanziari falliti. Si spera che la nuova enfasi sulla riduzione dei rischi di disastro (disaster risk reduction, DRR) nelle strutture internazionali per affrontare il cambiamento del clima possano avere effetti beneficiali anche per quanto riguarda ridurre gli impatti dei terremoti.
La vulnerabilità ai disastri è una proprietà innata delle persone e delle cose che è difficile di misurare. Per analogia, come la frizione è mobilitata da eventi. Quindi essa si concretizza come impatto quando i pericoli diventano disastri. Bruscamente, la vulnerabilità sismica di Haiti viene rivelata nel seguito di un impatto catastrofico che ha causato distruzione su una scala che si vede solo raramente (potrebbe essere sorpassata in pochi altri posti del mondo, tra cui Teheran, Istambul, Katmandu e Tokio). A Port au Prince molti degli edifici più strategici sono crollati, compresi il Palazzo Nazionale, l'Ospedale di Pétionville e il quartiere generale delle forze ONU, UN MINUSTAH. I baraccopoli dei poveri sono stati devastati un una maniera che raramente si vede nelle forme più sostanziose e permanente dell'edilizia vernacolare. La perdita delle vite umane è stata devastante, non soltanto tra i cittadini qualunque, ma tra il personale haitiano e straniero di critica importanza ai soccorsi. Si spera che la comunità internazionale, nell'ottica di portare la riduzione dei rischi di disastro al centro permanente dell'attenzione, come si dice in inglese tramite mainstreaming, cercherà di facilitare la ricostruzione degli elementi chiave dell'infrastruttura e degli impianti critici in modo tale da resistere i prossimi disastri e quindi di rimanere in grado di giocare un ruolo fondamentale la prossima volta quando si tratta di lanciare i soccorsi. Per ora la situazione e caotica e inefficiente al punto di essere quasi impossibile.
Fino al 90% dei morti che avvengono nei terremoti accadono nei paesi e nelle regioni più povere del mondo. Il solo motivo perché queste aree non denunciano anche la maggior parte dei costi dei danni è dovuto alla povertà dei loro beni: quindi, le cifre di denaro non sono diagnostiche del grado di sofferenza.
La povertà e la vulnerabilità ai disastri non sono perfetti sinonimi. Per lo meno, l'ingegnosità umana ha permesso alcune comunità povere di migliorare le loro circostanze e creare una certa resilienza di fronte al rischio di disastro. Accade così, ad esempio nelle montagne del Nepal di fronte ad alluvioni e frane. Qualsiasi siano le limitazioni finanziarie, un senso di autodeterminazione tramite participazione di massa agisce sempre a favore della riduzione dei rischi di disastro. Organizzazioni della società civile, amministrazioni pubbliche e imprese commerciali devono lavorare insieme sotto i precetti della Hyogo Framework for Action, 2002-2015, il modello di sviluppo della resilienza promosso dall'ISDR, la Strategia Internazionale dell'ONU per la Riduzione dei Disastri. L'esempio, purtroppo negativo, dell'Afghanistan (un altro dei paesi più sismici del mondo) è indicativo. Una generale mancanza di sicurezza, stabilità e governance ha impedito la creazione di strutture di protezione civile e ha lasciato come l'unica alternativa una mera improvvisazione.
La comunità internazionale è sensibile alla questione dei grandi disastri naturali. Inoltre, con il cambiamento del clima, l'inalzamento del livello del mare, e l'intensificazione dei fenomeni meteorologici, diventa chiaro che nel futuro i disastri saranno più grandi e più devastati di prima se non si riesce a potenziare la resilienza. Comunque, malgrado un'abbondanza di discussione sulla scala mondiale del bisogno di cambiare dalla sola reazione ai disastri ad un atteggiamento che favorisca misure di prevenzione e limitazione dei futuri impatti, gli sviluppi tangibili sono pochi. Così, il terremoto in El Salvador del 2001 era in molti sensi una ripetizione di quello del 1986, comprese alcune delle misure di soccorso adoperate.
Restringendo la discussione alle forme più immediate dell'assistenza, la convergenza di fino a 2000 specialisti stranieri in ricerca e salvataggio da tutte le parti del mondo, sebbene sia necessaria e benvenuta, semplicemente non è un modo efficiente di salvare le vite delle persone ferite e intrappolate vive sotto le macerie. Pochi soccorritori arrivano dall'estero prima di 36 ore dopo un terremoti, mentre i tempi medii di sopravvivenza sotto le macerie sono generalmente ben al di sotto delle 24 ore, e spesso sotto 12 ore, secondo le particolari condizioni locali. Il costo per vita salvata di questo sistema è astronomicamente alto, soprattutto in paragone con quello che si potrebbe fare con risorse già in posto. Dato che si sappia benissimo dove nel mondo avverranno i maggiori disastri naturali del futuro, sarebbe ora di promuovere un grande sforzo internazionale per incoraggiare le preparazioni locali. Se non si può ancora iniziare con la prevenzione dei disastri a livello locale, almeno cerchiamo di aumentare la capacità di reagire per bene da basi ubicati sul posto. Questo significa trasferire tecnologia, attrezzi, esperienza e formazione a dove sarà necessaria. Significa, inoltre, assicurare che la prontezza sia permanentemente mantenuta, tramite la preparazione sostenibile, un processo che richiede tenacità, organizzazione, generosità e attenzione indivisa. Se la comunità internazionale non dimostra queste qualità, il prossimo grande disastro sarà un'altra occasione per raccontare la stessa fastidiosa storia, in cui prevedibili miserie sono descritte come se fossero inattese e incomprensibili.
Il terremoto del 12 gennaio 2010 era potente (M=7,1), poco profondo di ipocentro (il punto iniziale di rottura della crosta terrestre), e con un epicentro a soli 16 km da Port au Prince, un'area metropolitana che contiene il 20% della popolazione nazionale. Scrivo solo tre giorni dopo la catastrofe, ad un punto in cui non esiste ancora indicazione delle cifre di mortalità e morbosità. Probabilmente queste quantità non verranno mai stabilite con accuratezza, tali sono i problemi di raccolta dei dati un un paesi come Haiti.
Mentre nei paesi ricchi, i grandi disastri possono assorbire qualcosa come lo 0.2% delle risorse nazionali, la proporzione può essere ordini di magnitudo più grande nei paesi poveri. Sia Haiti che Nicaragua hanno trovato il loro sviluppo economico ritardato di decenni a causa della devastazione causata dai disastri naturali, compresa la perdita di occupazione, infrastruttura ed altri beni di rilievo nazionale, e un carico insopportabile di ripristino e ricostruzione. Infatti, con l'aggiunta di instabilità politica e militare, e di corruzione, alcune parti di Managua, Nicaragua, non sono ancora state ricostruite dopo il terremoto del 1972.
In un senso più positivo, l'avvenimento di una grande catastrofe naturale (un fenomeno politicamente neutro, si nota) offre una buona opportunità di rinforzare i processi di riconciliazione e costruzione di governance tramite l'esercitazione a livello internazionale di "diplomazia dei disastri", una neodisciplina ormai quasi radicata. D'altronde, la comunità internazionale non ha ancora mostrata grande interesse nell'investire pesantemente nella prevenzione dei disastri, neanche quando grandi eventi hanno graficamente dimostrato il fabbisogno. Ad esempio, quando Uragano Mitch colpì 8 nazioni dell'America Centrale e dei Caraibi, i paesi ricchi organizzarono un pacchetto di aiuti del valore di meno del 3% di quello che contemporaneamente stessero spendendo sul salvataggio degli investitori dei hedge funds di Wall Street, in effetti il salvataggio dei giocatori di azzardo finanziari falliti. Si spera che la nuova enfasi sulla riduzione dei rischi di disastro (disaster risk reduction, DRR) nelle strutture internazionali per affrontare il cambiamento del clima possano avere effetti beneficiali anche per quanto riguarda ridurre gli impatti dei terremoti.
La vulnerabilità ai disastri è una proprietà innata delle persone e delle cose che è difficile di misurare. Per analogia, come la frizione è mobilitata da eventi. Quindi essa si concretizza come impatto quando i pericoli diventano disastri. Bruscamente, la vulnerabilità sismica di Haiti viene rivelata nel seguito di un impatto catastrofico che ha causato distruzione su una scala che si vede solo raramente (potrebbe essere sorpassata in pochi altri posti del mondo, tra cui Teheran, Istambul, Katmandu e Tokio). A Port au Prince molti degli edifici più strategici sono crollati, compresi il Palazzo Nazionale, l'Ospedale di Pétionville e il quartiere generale delle forze ONU, UN MINUSTAH. I baraccopoli dei poveri sono stati devastati un una maniera che raramente si vede nelle forme più sostanziose e permanente dell'edilizia vernacolare. La perdita delle vite umane è stata devastante, non soltanto tra i cittadini qualunque, ma tra il personale haitiano e straniero di critica importanza ai soccorsi. Si spera che la comunità internazionale, nell'ottica di portare la riduzione dei rischi di disastro al centro permanente dell'attenzione, come si dice in inglese tramite mainstreaming, cercherà di facilitare la ricostruzione degli elementi chiave dell'infrastruttura e degli impianti critici in modo tale da resistere i prossimi disastri e quindi di rimanere in grado di giocare un ruolo fondamentale la prossima volta quando si tratta di lanciare i soccorsi. Per ora la situazione e caotica e inefficiente al punto di essere quasi impossibile.
Fino al 90% dei morti che avvengono nei terremoti accadono nei paesi e nelle regioni più povere del mondo. Il solo motivo perché queste aree non denunciano anche la maggior parte dei costi dei danni è dovuto alla povertà dei loro beni: quindi, le cifre di denaro non sono diagnostiche del grado di sofferenza.
La povertà e la vulnerabilità ai disastri non sono perfetti sinonimi. Per lo meno, l'ingegnosità umana ha permesso alcune comunità povere di migliorare le loro circostanze e creare una certa resilienza di fronte al rischio di disastro. Accade così, ad esempio nelle montagne del Nepal di fronte ad alluvioni e frane. Qualsiasi siano le limitazioni finanziarie, un senso di autodeterminazione tramite participazione di massa agisce sempre a favore della riduzione dei rischi di disastro. Organizzazioni della società civile, amministrazioni pubbliche e imprese commerciali devono lavorare insieme sotto i precetti della Hyogo Framework for Action, 2002-2015, il modello di sviluppo della resilienza promosso dall'ISDR, la Strategia Internazionale dell'ONU per la Riduzione dei Disastri. L'esempio, purtroppo negativo, dell'Afghanistan (un altro dei paesi più sismici del mondo) è indicativo. Una generale mancanza di sicurezza, stabilità e governance ha impedito la creazione di strutture di protezione civile e ha lasciato come l'unica alternativa una mera improvvisazione.
La comunità internazionale è sensibile alla questione dei grandi disastri naturali. Inoltre, con il cambiamento del clima, l'inalzamento del livello del mare, e l'intensificazione dei fenomeni meteorologici, diventa chiaro che nel futuro i disastri saranno più grandi e più devastati di prima se non si riesce a potenziare la resilienza. Comunque, malgrado un'abbondanza di discussione sulla scala mondiale del bisogno di cambiare dalla sola reazione ai disastri ad un atteggiamento che favorisca misure di prevenzione e limitazione dei futuri impatti, gli sviluppi tangibili sono pochi. Così, il terremoto in El Salvador del 2001 era in molti sensi una ripetizione di quello del 1986, comprese alcune delle misure di soccorso adoperate.
Restringendo la discussione alle forme più immediate dell'assistenza, la convergenza di fino a 2000 specialisti stranieri in ricerca e salvataggio da tutte le parti del mondo, sebbene sia necessaria e benvenuta, semplicemente non è un modo efficiente di salvare le vite delle persone ferite e intrappolate vive sotto le macerie. Pochi soccorritori arrivano dall'estero prima di 36 ore dopo un terremoti, mentre i tempi medii di sopravvivenza sotto le macerie sono generalmente ben al di sotto delle 24 ore, e spesso sotto 12 ore, secondo le particolari condizioni locali. Il costo per vita salvata di questo sistema è astronomicamente alto, soprattutto in paragone con quello che si potrebbe fare con risorse già in posto. Dato che si sappia benissimo dove nel mondo avverranno i maggiori disastri naturali del futuro, sarebbe ora di promuovere un grande sforzo internazionale per incoraggiare le preparazioni locali. Se non si può ancora iniziare con la prevenzione dei disastri a livello locale, almeno cerchiamo di aumentare la capacità di reagire per bene da basi ubicati sul posto. Questo significa trasferire tecnologia, attrezzi, esperienza e formazione a dove sarà necessaria. Significa, inoltre, assicurare che la prontezza sia permanentemente mantenuta, tramite la preparazione sostenibile, un processo che richiede tenacità, organizzazione, generosità e attenzione indivisa. Se la comunità internazionale non dimostra queste qualità, il prossimo grande disastro sarà un'altra occasione per raccontare la stessa fastidiosa storia, in cui prevedibili miserie sono descritte come se fossero inattese e incomprensibili.