giovedì 5 giugno 2008

11 settembre 2001: attacchi terroristici sugli Stati Uniti: impatto sulla protezione civile




Il seguente articolo fu scritto nel 2002.

Gli attacchi terroristici avvenuti la mattina di Martedì 11 settembre 2001 sono senza precedenza per quanto riguarda la scala di operazione, l’audacia e il grado di coordinamento. Sembra che ben 6 attentati siano stati pianificati, di cui 3 hanno colpito in pieno i bersagli causando la perdita di 3000 vite. Al momento di scrivere, non chiaro se questi oltraggi rimarranno unici nella storia moderna oppure se essi inaugureranno una nuova fase di instabilità mondiale. In qualsiasi caso, gli attacchi a New York e Washington D.C. stanno avendo un profondo impatto sulla protezione civile. Questo articolo esaminerà alcuni aspetti degli attentati con riferimento all’organizzazione dei servizi di soccorso e alla pianificazione degli interventi di emergenza. Sebbene grazie ai mass media gli avvenimenti di quel giorno tremendo siano ben conosciuti a tutti, occorre, per primo, ricapitolare la sequenza degli eventi per capire meglio quali elementi siano importanti alla futura pianificazione della protezione civile.

Gli attentati

Alle 08,45 dell’11 settembre 2001, durante un normale volo commerciale, un Boeing 767 viene dirottato e pilotato contro i piani superiori della torre settentrionale del World Trade Center (WTC), nel distretto finanziario di New York nella penisola di Manhattan. Diciotto minuti pi tardi un altro 767 dirottato si abbatte contro la adiacente torre meridionale. Entrambe le torri erano alte 110 piani. Alle 10 e 10 minuti un Boeing 757 piomba nel quartiere generale delle forze armate statunitensi, il Pentagono, e nello stesso momento un altro 757 si precipita nella Pennsylvania rurale, apparentemente mancando il bersaglio che i dirottatori volevano colpire a Washington o nello stato di Maryland. Almeno tre altri aerei con a bordo terroristi armati di coltelli venivano nel frattempo fermati a terra durante il groundstop, il successivo fermo generale dell’aviazione, sebbene la notizia della loro esistenza veniva resa pubblica soltanto dopo diversi giorni.

La capacità dei serbatoi di carburante dei 767 della Boeing di 90.770 litri, mentre quella dei 757 di 42.680 litri. Tutti i 4 aerei erano decollati con i serbatoi pieni pochi minuti prima di essere dirottati. Le 266 persone a bordo, compreso i 19 dirottatori, muoiono negli scontri e non ci sono superstiti. In tutti i tre edifici colpiti, il carburante dei velivoli alimenta deflagrazioni. Palle di fuoco vengono iniettate in entrambe le torre del WTC: quella settentrionale prende fuoco tra il 95º e il 103º piano; quella meridionale tra il 82º e il 93º. L’incendio al Pentagono, il palazzo di uffici pi grande del mondo, prosegue per molte ore ma viene contenuto dalla struttura massiccia dell’edificio, progettato per resistere ad un attacco bellico.

Il WTC fu costruito negli anni ‘60 con una struttura portante composta di travi di acciaio rivestite di cemento. Le torri disponevano di una forte colonna centrale in cui si trovavano gli ascensori (198 in tutto), le scale e i condotti di distribuzione dei servizi. Le travi portanti radiava da questo tronco centrale collegandosi verso l’esterno con il resto dell’intelaiatura strutturale.
Gli impatti e le fiamme distruggono i sistemi antincendio, mentre la temperatura nei piani superiori dei due edifici saliva rapidamente a circa 800-1100 gradi. Nel giro di un’ora il cemento diventava polvere o fuliggine. Prima le travi deformavano per l’intenso caldo e poi si scioglievano. Sessantadue minuti dopo l’impatto la torre meridionale crolla. Quella settentrionale la segue alle ore 1028, 103 minuti dopo aver subito l’impatto del primo aereo.

Secondo i progettisti, le torri furono costruite in modo tale da resistere l’impatto di un Boeing 707, il normale aereo di linea negli anni ‘60, e di bloccare lo sviluppo di un incendio per circa 2 ore, il tempo "di progetto" per l’evacuazione totale delle 2 torri più alte (il World Trade Center consisteva in 7 edifici). Sarebbe stato, comunque, estremamente difficile progettare questi edifici per resistere l’impatto, lo scoppio e le palle di fuoco di attacchi premeditati e accuratamente pianificati come quelli dell’11 settembre.

La cifra complessiva dei morti viene stimata in 44 unità nella Pennsylvania, 189 nel Pentagono e 2765 nel WTC, compresa nel secondo caso centinaia di stranieri provenienti da circa 60 paesi. Alcune decine fra le vittime sono italiani. Dato che nei momenti di massima affluenza, il WTC ospitasse 40,000 lavoratori e 80.000 visitatori, la mortalità a New York viene notevolmente ridotta dalle evacuazioni che hanno avuto, tutto sommato, buon esito. Però, alcune decine di persone intrappolate sui piani superiori senza possibilità di salvataggio muoiono gettandosi dalle finestre per evitare una fine più lenta tra le fiamme.

Di particolare rilievo per la protezione civile la morte di 343 pompieri e 78 poliziotti, i quali accorrevano al WTC appena dopo esser stati avvertiti degli scontri e, in molti casi salivano le scale di emergenza delle torri con l’intenzione di salvare le persone intrappolate o di combattere le fiamme.

I crolli avrebbero potuto essere molto più devastanti se gli impatti degli aerei fossero avvenuti , e i conseguenti incendi sviluppati, in punti più bassi delle torri. Così, queste ultime avrebbero potuto cadere sugli edifici adiacenti girandosi come alberi abbattuti, mentre in realtà sono crollati verticalmente su un’area piuttosto ristretta. All’inizio del crollo, lo spostamento del carico dei piani superiori su quelli inferiori di circa 100.000 tonnellate, e il risultante cumulo di macerie, che contiene anche i resti di ben 3 altri edifici (compresa il WTC-7, un grattacielo di 47 piani), pesa circa 1.200 milioni di tonnellate. I crolli generarono onde sismiche paragonabili a terremoti di una massima magnitudo di 3,2.

Analisi

Mentre quasi tutti i singoli elementi degli attacchi sono paragonabili ad aspetti di alcuni eventi precedenti (ad esempio, lo scontro di un aereo caccia contro l’Empire State Building), la somma degli effetti, e quindi la gravità dell’impatto totale, non ha paragone nella storia del terrorismo. La magnitudo dell’attacco, il grado di coordinamento e la totale mancanza di preavviso ricadono fuori di ogni altra esperienza. Quindi, la pianificazione prima dell’evento non avrebbe potuto trarre sufficiente ispirazione da altri eventi per descrivere lo scenario di riferimento. Malgrado questo, molte lezioni possono essere tratte da ci che successo. Ecco una breve riflessione su alcune principali questioni.

I problemi a New York

Procedure di evacuazione. Per anni, l’evacuazione degli edifici alti stata oggetto di controversia. I grattacieli rappresentano forti concentrazioni di vulnerabilità per quanto riguarda il rischio di incendio o di cedimento strutturale. Alcune fotografie scattate durante l’evacuazione di una delle torri del WTC mostrano scale strette (di larghezza meno di un metro) e affollate, con gente che cerca di scendere, strizzandosi contro i muri per far passare i pompieri che salgono, carichi di bombole di ossigeno e di altri attrezzi.

Avendo ricevuto istruzioni conflittuali dai colleghi, non tutti gli occupanti delle torri si dirigevano subito alle uscite, soprattutto sono rimasti fermi quelli che vedevano la pioggia di detriti da sopra e che si sentivano più sicuri dentro che fuori. Alla fine, molti di quelli che raggiungevano le scale trovavano il buio, il fumo e la presenza di grandi quantità di acqua provenienti dalla rottura dei sistemi di spegnimento degli incendi.

Sebbene una quantità elevata di persone siano riuscite ad evacuare dalle torri (forse il 90%), molte persone hanno impiegato più di un’ora di arrivare al pianterreno dal 70º piano e oltre. Una volta arrivate, il fumo, la polvere e la pioggia di detriti che cadeva continuamente nella piazza del WTC rendeva molto pericoloso il tentativo di uscire. Più positivamente, come avrebbero previsto i sociologi che si occupano dei disastri, il panico sembra essere stato molto limitato: la stragrande maggioranza delle persone si sono comportate in modo calmo e razionale, anche in situazioni apocalittiche.

Scenari di pianificazione per gli edifici alti. Nei giorni successivi, alcuni esperti di ingegneria strutturale comunicano ai mass media la gravità degli incendi (cioè, pochi minuti dopo l’impatto) rendendosi conto che le torri dovevano inevitabilmente crollare. Le implicazioni di tali dichiarazioni per la pianificazione degli interventi di emergenza sono profonde. Sebbene sottostimare il rischio di crollo comprensibile sotto circostanze davvero eccezionali, a New York 248 pompieri e 95 soccorritori partirono da 5 distretti e da 34 compagnie dei Vigili del Fuoco newyorchese e poi morirono. Per di più, molti mezzi dei servizi di soccorso vengono schiacciati nel doppio crollo delle torri.

E’ normale basare i piani di emergenza su eventi pi probabili e meno catastrofici invece che su quelli quasi impensabili con conseguenze davvero apocalittiche. Eppure la pianificazione del disastro necessita il "pensare l’impensabile": essa dovrebbe abituare il Disaster Manager ad adattare le sue decisioni ed azioni a condizioni veramente insolite. Tenendo conto che non c’è niente di più crudele e ingannevole del senno di poi, bisogna ripensare, piuttosto profondamente, la gestione dei grandi disastri che colpiscano gli edifici alti. Nell’ambito dei piani comunali di emergenza, bisogna formulare dettagliati scenari di risposta per tali situazioni.

Negli Stati Uniti ogni anno 16.000-20.000 edifici alti prendono fuoco, uccidendo tra 80 e 90 persone e ferendo 800-900. Ovviamente, il problema non ristretto all’USA: ad esempio, negli anni ‘70 Sao Paulo fu teatro di due famosi incendi nei grattacieli, dove decine di persone morirono intrappolate. Quindi non un problema cos insolito.

Gli aspetti più significativi della questione sono la sicurezza dei lavoratori di emergenza, il bisogno di accelerare le evacuazioni, e la necessità di proteggere gli evacuati mentre escono dall’edificio. La prima parte dell’allegata tabella offre una serie di previsioni dei tempi teorici di evacuazione del WTC calcolate utilizzando alcune equazioni non lineari sviluppate in una serie di prove di evacuazione eseguite su edifici alti nel centro di Toronto in Canada negli anni ‘70. La seconda parte riporta i tempi veri di evacuazione dopo l’attentato terroristico sul WTC nel 1993 quando una bomba provocò una serie di incendi e la diffusione generale del fumo in entrambe le torri. Come mostrano i dati, l’evacuazione totale di questi edifici richiedeva più di 2 ore, e forse più di 3.

Gestione dell’emergenza. Il centro di gestione dell’emergenza del Distretto di Manhattan doveva essere ubicato nella torre settentrionale del WTC, dove la Port Authority of New York-New Jersey aveva affittato una serie di uffici sui 2º, 14º e 19º piani. La decisione di alloggiare il principale centro operativo nel WTC fu un atto di sfida al terrorismo in seguito alla bomba del ‘93, e fu anche una mossa strategica, dato il ruolo centrale del WTC nella zona di alta finanza di New York. Ovviamente, sotto le circostanze diventato il posto meno adatto in assoluto. Da questo si può concludere che in ambienti urbani complessi quanto Manhattan sarebbe necessario allestire diversi centri operativi, ubicati in luoghi protetti e collegati in una rete. Ognuno di questi dovrebbe avere la capacità di diventare il centro principale se quello predestinato dovesse essere reso inutilizzabile.

Altri aspetti della gestione dell’emergenza a New York hanno avuto esiti più positivi. Dato che il fondo della penisola di Manhattan circondata dalle acque su tre lati, fu abbastanza facile perimetrare l’area colpita e controllare l’accesso. I battelli evacuavano i feriti attraverso il fiume Hudson ad un posto medico avanzato a Jersey City, sulla riva del New Jersey. Malgrado la lentezza del trasporto littorale, era molto più facile e sicuro soccorrere le vittime così, ad una certa distanza dal fumo e dalla confusione di Manhattan. Di 5284 feriti, il 7,9% aveva bisogno di una degenza in ospedale. Il centro traumatologico di primo livello più vicino al sito della sciagura raggiunse la sua quota di pazienti (circa 200) entro 2 ore dall’inizio della catastrofe, e in seguito i feriti sono stati distribuiti tra 83 delle 170 ospedali delle 5 borough e 3 contee della zona metropolitana di New York.

Alle ore 17,00 dell’11 settembre il soccorso medico aveva raggiunto la sua massima potenza, ma la seconda ondata di feriti, ansiosamente attesa da medici e infermieri, non ci fu. Otto ore dopo l’inizio della catastrofe non c’era pi bisogno di praticare il triage.

Ricerca e salvataggio. Al sito del disastro newyorchese un miliardo e 200 milioni di tonnellate di macerie erano accumulate in un groviglio molto compatto ma parecchio instabile. Fu estremamente difficile penetrare questo per cercare persone rimaste intrappolate, e per di più, gli incendi scoppiavano continuamente. I vuoti venivano riempiti di polvere, di fango o di fuoco e gli edifici intorno minacciavano di crollare da un momento all’altro (infatti il WTC-7, di 47 piani, croll alle 17,20 dello stesso giorno della tragedia). Malgrado un’operazione di ricerca e salvataggio che coinvolgeva fino a 1200 soccorritori alla volta (il massimo numero che potevano lavorare nello spazio disponibile), pochissime persone furono trovate vive, e quelle soltanto all’inizio delle operazione di salvataggio.

L’enorme peso degli edifici crollati, e l’eccessiva frantumazione avvenuta durante i crolli, significavano che la proporzione di vuoti fu minore della figura del 15% riscontrata in altri crolli di grossi edifici, ad esempio nei terremoti. La vasta scala del cumulo e la massiccia instabilità del sito richiedevano l’impiego di mezzi pesanti dei tipi che solitamente non vengono usati in tali circostanze per paura di schiacciare vittime ancora in vita ma intrappolate sotto le macerie. Inoltre, la precarietà del sito necessitava di una serie di interruzioni al lavoro di salvataggio mentre gli operai lottavano disperatamente per consolidare i muri ancora in piedi. Comunque, con il passare del tempo, il lavoro diventava più regolare e, dividendo il sito in 4 zone di comando, ben 90.000 tonnellate di macerie furono rimosse durante la prima settimana.

Problemi a Washington, D.C.

Un commento editoriale pubblicato nell’autorevole quotidiano The Washington Post una settimana dopo la catastrofe disse che "un esame degli eventi di Martedì scorso indica che il Distretto [Washington DC] era impreparato per l’emergenza e quindi non fu in grado di reagire e prestare assistenza al pubblico in modo rapido e efficace." Questa affermazione grave tale da richiedere chiarimenti e spiegazioni.

Le comunicazioni e le risposte di emergenza. Gli Stati Uniti dispongono di un sistema di trasmissione di messaggi di emergenza al pubblico tramite radio e televisione che viene periodicamente messo a prova. La mattina della catastrofe questo strumento non fu attivato nel Distretto di Columbia. Ciò nondimeno, la maggior parte dei cittadini ottennero informazioni su che cosa fare dagli stessi mass media che avrebbero trasmesso messaggi provenienti dal governo, ma le interpretazioni della situazione formulate e trasmesse dai giornalisti non corrispondevano necessariamente a quelle ufficiali. Infatti, in alcuni casi sembra che una politica ufficiale dell’emergenza non ci fosse. Ad esempio, il Capo del Gabinetto del Sindaco, incapace di comunicare per telefono a causa del sovraccarico delle linee e delle reti cellulari, usò la posta elettronica per ordinare l’evacuazione degli uffici federali. Ma dopo 4 minuti l’Amministratore della città mandò il contrordine, sempre per posta elettronica. Il primo messaggio fu inviato in risposta ad un’informazione, risultata sbagliata, che altri 3 aerei stavano per precipitare sulla capitale; il secondo fu frutto di una decisione di non sospendere il funzionamento del governo durante la crisi.

A parte l’ovvia conclusione che la posta elettronica non è un buon mezzo per diffondere un ordine di evacuazione, anche Internet fu rallentato dal sovraccarico e quindi perdeva la sua capacità di trasmettere messaggi in tempo reale. In qualsiasi caso, in realtà i lavoratori non essenziali tornavano a casa per conto loro, creando intoppi stradali in tutto il Distretto di Columbia e bloccando il movimento dei mezzi di soccorso. Un sistema di gestione del traffico (frutto delle pianificazioni "Anno 2000", detta "Y2K") fu attivato, e solo dopo 3 ore riuscito a snodare gli ingorghi.

Secondo le previsioni per una qualsiasi emergenza, alcuni telefoni satellitari avrebbero dovuto essere collocati nei principali ufficiali di governo a Washington. Purtroppo, questi strumenti sono rimasti chiusi in uno sgabuzzino fino al giorno successivo. Inoltre, il Distretto Sanitario Locale non disponeva di radio capaci di monitorare le comunicazioni tra ospedali e autoambulanze e quindi, dato il non funzionamento dei telefoni, non era in grado di partecipare alla formulazione delle decisioni logistiche e di stimare la disponibilit di servizi sanitari.

Piani di emergenza. Il Dipartimento di Polizia Metropolitana del Distretto di Columbia, il quale dispone di un organico di 3800 impiegati, non custodiva né un piano anti-terrorismo né una procedura per informare i poliziotti sulla strada e i loro comandanti come e dove rispondere alla crisi. I comandanti furono costretti ad improvvisare un piano minuto per minuto. La polizia non era a corrente della decisione presa dal governo federale di mandare i suoi impiegati a casa, e quindi fu colta dalla sorpresa di fronte all’afflusso del traffico sulle strade.

Nel frattempo, le camere del Parlamento non furono evacuate. Sarà stato meglio così, dato che Deputati e Senatori non erano addestrati nell’evacuazione e il piano non era aggiornato per quanto riguarda l’ubicazione delle uscite di emergenza dell’edifico. Nonostante si temesse un attacco proprio al Capitol.

D’altra parte, invece, la Metropolitana di Washington mise immediatamente in atto il suo piano di emergenza e continuò a funzionare bene per tutta la crisi. Purtroppo, molti pendolari assunsero che non fosse operativa e cercarono di tornare a casa sulle strade; quindi i treni circolavano mezzo vuoti.

La Contea di Arlington (Virginia), periferica alla città, lanciò il suo piano di emergenza 10 minuti dopo l’inizio della crisi. Meno male, comunque, che non c’erano molti feriti, perché l’Amministratore della città di Washington dichiarò che il Washington Hospital Center, il massimo centro traumatologico della zona, non avrebbe potuto ospitare un grande numero di vittime.

Conclusione. Nel momento in cui i Servizi segreti si resero conto che un terzo aereo si stava dirigendo verso la Casa Bianca (e poi con un brusco cambiamento di rotta al Pentagono), non disponevano di una procedura per abbatterlo e comunque i caccia avrebbero dovuto coprire 200 km prima di arrivare a Washington. Ma a parte una misura così drastica e ipotetica come l’abbattimento, fu abbondantemente chiaro che l’entità di un possibile attacco terroristico sulla capitale degli Stati Uniti era stata largamente sottostimata nei piani di emergenza, qualora ci fossero. Gli scenari erano troppo modesti, soprattutto riguardo il probabile livello di caos, e i piani esistenti erano né comprensivi né sufficientemente chiari a proposito dei probabili rischi. Infatti, una simulazione di emergenza eseguita durante il mese di giugno 2001 prevedeva un attacco chimico all’aria aperta davanti al Museo Nazionale Smithsonian, senza danni e con pochissime vittime.

Inoltre, l’Agenzia di Protezione Civile della Città di Washington non aveva né i fondi né la manodopera per creare e rodare un piano di emergenza delle dimensioni necessarie. In seguito alla crisi la sua organizzazione madre, la FEMA, chiese (e generalmente ottenne) $250 milioni a settimana per eseguire opere di soccorso: somme infinitamente superiori a quelle che erano richieste (e non ottenute) per finanziare la pianificazione prima degli attentati.

Secondo il consenso che prevaleva prima dell’11 settembre, la città aveva bisogno di piani ben codificati ma largamente generici, come il piano "Threatcon" (threatening conditions, cioè, condizioni minacciose) delle Forze armate statunitense, il quale elenca le operazioni da eseguire ad una serie di livelli di allerta. Il Threatcon ha funzionato abbastanza bene durante le emergenze a New York e Washington, ma come strumento per affrontare tali disastri non era sufficiente.

Conclusione

Se gli oltraggi terroristici dell’11 settembre 2001 rimarranno una serie di eventi piuttosto unici nella storia oppure inaugureranno una nuova epoca di attentati, non si sa ancora. Gli eventi di quel giorno hanno avuto luogo in mezzo a delle città ricche di risorse e quindi le fonti di assistenza non sono mancate. Casomai il contrario: la congestione e le reazioni di convergenza verso il luogo dell’attentato costituirono un problema di grande rilievo. Come necessaria conseguenza, le misure per domare la confusione furono necessariamente drastiche. In questo senso il terrorismo provoca , per forza, una risposta più autoritaria rispetto ad altre forme di disastro, con la sola eccezione della guerra vera e propria. I pianificatori di emergenza dovranno affrontare meglio questo problema per poter integrare la Protezione civile in una struttura di risposta al terrorismo dominata da polizia e forze militari.

I problemi medici, psicologici, economici e strategici causati dal disastro andranno avanti per anni, con impatti profondi, non soltanto sulle famiglie delle vittime e sulle prospettive per la pace a livello mondiale, ma anche sulla comunità della Protezione civile statunitense. Si spera, comunque, che gli eventi di quel terribile giorno, e tutto il suo seguito domestico e internazionale, stimoleranno un miglioramento della pianificazione di emergenza, con "regole di combattimento" più precise e scenari di risposta più dettagliati e accurati. Creare questi strumenti considerato un obbligo da molti operatori nel settore che vogliono rendere omaggio ai coraggiosi soccorritori che hanno perso la vita nel cuore di Manhattan.

Tabella nº 1. Tempi di evacuazione della World Trade Center, New York
Tempi teorici di evacuazione
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Pauls (1980) equazione di flusso medio
10.000 persone per scala = 2 ore 14 minuti per uscire
20.000 persone per scala = 2 ore 41 minuti per uscire
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Pauls e Jones (1980) equazione per il tempo totale di evacuazione
10.000 persone per scala = 1 ore 59 minuti
20.000 persone per scala = 3 ore 56 minuti
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Tempi misurati di evacuazione
Quenemoen et alii (1996) evacuazione in seguito alla bomba e l’incendio del 1993
Tempi di evacuazione per 161 persone:
48% meno di 60 minuti
27% tra 60 e 120 minuti
25% pi di 120 minuti

L’11 settembre 2001, il crollo delle due torri termin le evacuazioni 62 e 103 minuti dopo l’inizio della crisi con circa il 90% delle persone evacuate.
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Opere citate:
Pauls, J.L. 1980. Building evacuation research findings and recommendations. In D. Can(curatore) Fires and Human Behavior. John Wiley & Son, New York.
Pauls, J.L. e B.K. Jones 1980. Building evacuation: research methods and case studies. In D. Canter (curatore) Fires and Human Behavior. John Wiley & Son, New York.
Quenemoen, L.E., Y.M. Davia, J. Malilay, T. Sinks, E.k. Noji and S. Klitzman 1996. The World Trade Center bombing: injury prevention strategies for high-rise buildings. Disasters 20(2): 125-132.