martedì 29 aprile 2008

Informazione ed emergenze



Essendo il primo ingrediente del processo decisionale nelle operazioni di emergenza, l'informazione assume una posizione assai importante per gli operatori della protezione civile. Paradossalmente, i disastri sono caratterizzati simultaneamente da un sovraccarico e una mancanza di informazione. Quello che è essenziale sapere (che cosa è successo, dove, quando e con quale gravità) è spesso difficile da conoscere nelle prime fasi di una calamità. Invece, è piuttosto normale ricevere una massa di informazione contrastante, poco accurata e contraddittoria che deve essere con fatica verificata e classificata .

Fortunatamente ci sono dei mezzi di aiuto. Come in altri mestieri, così nella gestione delle emergenze, è in atto una rivoluzione nella tecnologia di comunicazione e informazione (TCI). Questa sta portando nuove opportunità e nuove sfide al campo. Da una parte, gli aumentati flussi di informazione sono cresciuti assai di grandezza e consistenza. D'altra parte, gli sviluppi nel settore hanno portato un bisogno di nuovi metodi di lavoro per combattere il sovraccarico di informazione che i nuovi canali e le nuove tecnologie hanno creato. Esiste anche la possibilità che la tecnologia di informazione possa causare un disastro, magari tramite la diffusione di informazione scorretta o a causa di una cattiva gestione dei processi di vitale importanza alla società.

La questione della raccolta e dell'uso dell'informazione nelle emergenze può essere divisa in tre elementi principali: (a) la gestione di informazione per i professionisti della protezione civile, (b) l'impatto dell'informazione in tempi di emergenza sulla società e sui mass media, e (c) il ruolo dell'informazione nel comportamento di massa durante le situazioni di emergenza. In questi casi, i flussi di informazione possono essere classificati in tre tipi: quelli diretti ai soccorritori, quelli che raggiungono i mezzi di diffusione delle notizie al pubblico e quelli che arrivano direttamente ai singoli cittadini. L'informazione in sé è di due tipi: "deperibile" e "durabile". La prima si riferisce ad informazione che tende a sparire se non viene raccolta e immagazzinata nel momento in cui diventa disponibile; mentre la seconda non dipende dal tempo.

Questo articolo esaminerà ciascuno dei tre principali modi di usare l'informazione di emergenza e in seguito cercherà di trarre alcune conclusioni generali sullo "stato dell'arte" in questo campo in rapida evoluzione.

Gestione dell'informazione per la comunità dei professionisti di protezione civile

In questa sezione si considererà il ruolo dell'informazione nella gestione delle emergenze, prima in termini della sua funzione diretta nelle crisi e nei disastri e poi rispetto alle nuove tendenze identificabili nella formazione dei coordinatori di emergenza.

L'informazione per gestire le emergenze

Quando avviene il disastro, per primo il coordinatore di emergenza ha bisogno di sapere che cosa è successo, dove è accaduto, dove sono i "punti cardinali" (cioè, i luoghi dove sono concentrate la distruzione e le vittime che devono essere salvate), dove sono i confini dell'area interessata, quant'è la gravità della situazione, quali risorse saranno necessarie per portare soccorso, da dove verranno queste e quanto rapidamente potranno arrivare. Visto con il senno di poi, sembra facile trovare risposte a tali questioni, ma al momento della crisi le risposte potrebbero essere incerte e soggette a cambiamenti bruschi e inaspettati. Quindi, le decisioni sull'impiego delle risorse devono essere prese in base a conoscenze incomplete e potenzialmente non corrette.

L'epoca moderna è caratterizzata da avanzamenti nella complessità tecnologica di natura così rapida che gli aggiustamenti sociali necessari per assorbirli e utilizzarli con saggezza rimangono indietro. La comunicazione istantanea o rapida su lunghe distanze ha cambiato radicalmente i processi di gestione delle situazioni di emergenza. In particolare, essa ha creato un bisogno pressante di sviluppare una nuova tecnica per gestire l'informazione quando è presente in grosse quantità e consegnata con estrema rapidità in modo tale da estrarre i dati significativi dalla massa di informazione che al momento non è utile.

Le nuove tendenze nella tecnologia di comunicazione e informazione impiegate nella protezione civile includono:

(a) Sono stati creati dei software atti ad aiutare l'utente a sviluppare piani di emergenza e esporli in rete LAN o in Internet. Il principale vantaggio di questo è che permette una maggiore flessibilità rispetto al metodo tradizionale di pianificare sulla carta. Lo svantaggio è che non ci sia garanzia che un piano più razionale verrà tirato fuori, o che l'eventuale piano sarà usato più razionalmente rispetto al corrispondente documento tradizionale (Gruntfest e Weber 1998).

(b) Molti pezzi di software sono stati sviluppati per facilitare la gestione delle emergenze, in base a procedure standardizzate che impiegano tabelle (spreadsheets), sistemi di informazione georeferenziata (GIS) e comunicazioni computerizzate. Cosi il coordinatore di emergenza può manipolare l'informazione con più facilità durante le crisi. Uno svantaggio è la tendenza a duplicare le iniziative nel produrre nuovi prodotti software che fanno essenzialmente le stesse cose (Comfort 1993).

(c) La gestione delle calamità fa ampio uso delle moderne reti di comunicazione, tale da fondare alcuni sistemi dedicati interamente ai lavori di emergenza. Queste includono particolari tipi di rete cellulare, più varie forme di intranet e extranet. Esse hanno il vantaggio di essere più robuste rispetto ai metodi tradizionali di comunicazione, e di portare più ridondanze, il quale permette un carico di traffico di maggiori dimensioni, e aumentata sicurezza, durante le crisi (Tobin e Tobin 1997).

Per la gestione delle emergenze, le implicazioni di queste tendenze non sono ancora chiarissime. Comunque, alcune indicazioni già esistono (Stephenson e Anderson 1997). Per primo, la tecnologia di comunicazione e informazione ha l'effetto di appiattire la catena di comando. Essa permette di porre maggior enfasi sulla collaborazione invece che sul comando e sul controllo. Quindi si guadagna maggior autonomia nelle operazioni compiute al sito dell'emergenza. LA TCI aiuta a chiarire le idee su che cosa sta succedendo in un'emergenza, dato che si offre maggiore abilità di sviluppare una coordinata veduta d'insieme degli eventi mentre si svolgono. Nella sua forma prototipa, la TCI ha dato luogo al Sistema di comando dell'incidente (Irwin 1989) che è una forma partecipata di gestione dell'emergenza, diretta dal sito anziché dal presidio di comando alto. Applicato ad emergenze di diverse grandezze è risultato estremamente funzionante e utile.

Per la tecnologia d'informazione nel servizio della gestione delle emergenze il futuro è innegabilmente brillante (Alexander 1991), ma alcune trappole e problemi dovrebbero essere evitati. Per primo, come notato sopra, si spera che non stiamo passando dalla "sindrome della pianificazione su carta" a quella della pianificazione digitale. Una volta era facile che un piano di emergenza dopo essere stato redatto fosse ignorato o negletto anziché diffuso, utilizzato e aggiornato (Fischer 1998). Comunque, malgrado la maggiore immediatezza dei metodi informatizzati, non c'è garanzia che il piano formulato con mezzi digitali sia trattato diversamente del suo progenitore cartaceo, nonostante la facilità con cui esso può essere attivato e revisionato. Questo è vero malgrado la pletora di prodotti digitali sviluppati per gestire l'informazione durante i disastri. La pervasiva tendenza a reinventare e duplicare ha portato una mancanza di compatibilità e interoperabilità tra i vari prodotti in commercio. I problemi diventano ancora più acuti quando si tratta di collaborazioni internazionali.

La moderna gestione dell'informazione necessita una riorganizzazione radicale dei metodi di lavorare. Essa richiede che il coordinatore di emergenza impari a scannizzare quantità potenzialmente vaste di informazione, in modo tale da giudicare che cosa è utile e scartare ciò che non lo è, giudicando la qualità e l'accuratezza di quello che rimane. Attraverso questo processo, è avvenuta una riduzione della comunicazione verbale e "faccia a faccia". Questa tendenza è potenzialmente preoccupante, dato che il peggiore disastro nella storia dell'aviazione civile fosse frutto di un malinteso verbale (Quarantelli 1997).

Esistono altri modi in cui la tecnologia di informazione potrebbe essere autore di disastro. Nell'industria, nel trasporto e nella generazione dell'elettricità essa controlla alcuni processi vitali. Per di più, una crescente proporzione di organizzazioni e compagnie commerciali dipende dai computer per gestire i conti e fare le transazioni. Quindi, il fallimento dei sistemi informatizzati, soprattutto dove quelli di riserva non sono sufficienti, potrebbe avere conseguenze catastrofiche con effetti collaterali fortemente diramati in tutta la società. Questo fatto potrebbe largamente complicare lo sviluppo di scenari su cui basare i piani di emergenza. Perciò, la moderna tendenza nella pianificazione è di aumentare lo scopo di tutelare la continuità di operazioni delle aziende municipalizzate ed altre parti del settore privato che sono essenziali al funzionamento della società.

Dato che c'è ogni segno che la tecnologia di informazione sarà largamente usata nella formazione dei coordinatori di emergenza, si spera che potrà essere usata per insegnarli come gestire bene i rischi e i disastri.

Informazione e la formazione dei coordinatori di emergenza

Nella protezione civile durante gli anni '90 c'era un massiccio aumento della diffusione di informazione tramite Internet. La crescita è ormai diminuita e l'enfasi sta cambiando verso il consolidamento delle risorse già stabilite. Nel futuro avverrà probabilmente un notevole sviluppo di corsi in linea che comprendono vari aspetti del campo, ad esempio la gestione delle emergenze, la risposta medica, la psicologia delle calamità e il mantenimento della continuità degli affari commerciali (Neal 2000). Nel Regno Unito ben 22 di 135 università hanno già allestito iniziative di questo tipo.

Un aspetto essenziale della formazione è la diffusione della letteratura scientifica e manageriale. In questo settore tali pubblicazioni sono in genere di circolazione limitata e quindi poco lette dai professionisti della protezione civile (e per niente dal pubblico generale). Questa difficoltà potrebbe essere man mano risolta con il crescente accesso alla letteratura in linea. Ad esempio, la rivista Disasters, di centrale importanza al campo, è disponibile, non soltanto stampata su carta, ma anche in forma elettronica. Tra poco quest'ultima forma di accesso verrà donata gratis dalle agenzie dell'ONU a molte istituzioni formative nei paesi poveri. Alla fine si potrebbe vedere lo sviluppo delle cosiddette "geo-biblioteche distribuite" ("distributed geo-libraries"), in cui c'è una drastica riduzione nelle restrizioni poste sull'accesso all'informazione dall'ubicazione geografica dell'utente.

Questi esempi danno l'impressione che la tecnologia di informazione e comunicazione potrebbe radicalmente cambiare l'atteggiamento del personale che segue i corsi di formazione. Naturalmente, la tecnologia sta anche causando profondi mutamenti nell'erogazione di informazione sui rischi e sui disastri alla società in genere, ma il cambiamento nella percezione e nell'atteggiamento è forse più lento di quello tecnologico, come dimostrerà le prossime sezioni.

I disastri, l'informazione e la società

Nel gennaio del 2001 gli Americani donarono $16 milioni ai superstiti del terremoto di Gujarat in India, nel quale 19.700 persone morirono e circa un milione furono senzatetto; più tardi nell'anno essi donarono cento volte di più, $1,6 miliardi, alle famiglie delle vittime del crollo delle torri gemelle a New York, in cui 2.890 morirono e nessuno è rimasto senzatetto. I motivi per la discrepanza hanno da fare con il patriottismo, i rapporti tra le singole persone e gli eventi e il grado di immediatezza dei medesimi, ma sono anche frutto delle immagini collettive del disastro fatto dai media di comunicazione di massa. Mentre il giornalismo può motivare il pubblico a contribuire agli appelli di soccorso, esso può anche spegnere il flusso della solidarietà minimizzando, ignorando o togliendo enfasi da elementi del problema in modo arbitrario (Benthall 1997).

"Il mezzo," scrisse il noto sociologo americano Marshall McLuhan, "è il messaggio" ("the medium is the message"). I mass media sono stati sia creati dalla società a sua immagine ma sono stati anche progettati per riflettere quei valori, in un rapporto circolare senza fine che è valido per L'Osservatore Romano quanto per la New York Post.

I ricercatori che hanno studiato come funzionano i mass media nei disastri si dividono in due categorie: quelli che credono che i media cercheranno sempre di distorcere le notizie in modo tale da aumentare il numero di lettori, ascoltatori o spettatori (Goltz 1984), e quelli che credono invece che i media possono essere trattati come responsabili agenti della diffusione di informazione se essi vengono invitati a collaborare con i servizi di protezione civile in modo tale da diffondere informazioni corrette con un grado di responsabilità (Scanlon 1983). In entrambi i casi, non si può e non si deve ignorare i media. E' quindi raro che i centri operativi di gestione delle emergenze non abbiano televisori, dato che i coordinatori di emergenza debbano sapere al minuto che cosa i media racconteranno al pubblico e che cosa il cittadino viene invitato dai media a fare durante la crisi.

I cambiamenti tecnologici moderni che influenzano i mass media hanno profondamente alterato il modo in cui si riceve informazioni sui disastri. Per primo, c'è un senso maggiore di immediatezza e, in un certo modo, partecipazione. Esiste anche una tendenza preoccupante a confondere valori giornalistici con quelli del divertimento e di esaltare i disastri come spettacoli. Il quadro è complicato dall'aumento incessante di sempre più fonti di informazione, le quali sono disponibili in sempre più modi e fasce orarie.

Come ha notato il Professore Quarantelli (1997), "La rivoluzione di TCI sta chiaramente sottominando i processi tradizionali di controllo della qualità." Non si è arrivati ancora alla sostituzione di un altro meccanismo per garantire la qualità, e la maggior parte del pubblico generale non è particolarmente capace di distinguere informazioni affidabili e accurate da quelle sbagliate, soprattutto se queste ultime vengono presentate come una cosa autorevole. Ciò nondimeno, in una società sana e democratica, la gestione dell'informazione non significa il controllo centralizzato delle fonti di diffusione. Invece, l'indipendenza del giornalismo deve essere tutelata come uno dei mezzi per assicurare una giusta valutazione della qualità delle decisioni prese dalle autorità pubbliche. Quindi, un piano di emergenza che cerca di controllare i media sarà basato su principi scorretti e sarà anche destinato a produrre una gestione poco ottimale della crisi.

Gestione dell'informazione e il pubblico generale

Come notato sopra, un mercato dell'informazione più libero può aumentare la diffusione di informazione poco accurata. In parte questo risulta dalla mancanza di controlli sull'informazione quando essa viene fornita ad un pubblico che è per ignoranza della materia potenzialmente ingannabile, mentre in parte essa riflette le pressioni commerciali (e spesso politiche) che tendono a restringere l'informazione a certi tipi, qualità e livelli di serietà. Per verificare alcune di queste osservazioni si può fare una prova semplice digitando la frase "earthquake perception" in una macchina di ricerca su Internet. In termini scientifici, la previsione dei terremoti a corto termine è una questione poco risolta, ma una meta che affascina, non soltanto gli scienziati in buona fede, ma anche quelli che lavorano all periferia delle scienze razionali e i futurologi. Tipicamente, la ricerca indirizzerà l'utente della macchina di ricerca a siti che trattano del vero progresso scientifico in materia (e anche, con molta franchezza, la mancanza di esso), ma per di più si ricaverà notizie su siti allestiti da ciarlatani che credono di aver scoperto mezzi infallibili per prevedere i terremoti, forse in congiunto con le "influenze extraterrestri" o qualcosa ugualmente fantastica.

In un certo qual senso, nel mondo moderno un grosso disastro viene definito in termini dei flussi di informazione che esso riesce a generare. Ad esempio, l'uragano Mitch che colpì l'America centrale nell'ottobre 1998 ha dato luogo a ben 29 siti web dedicati. Un numero simile appartiene al terremoto di Hanshin-Awaji del 1995 a Kobe nel Giappone. Così, il pubblico ha accesso libero a abbondanti quantità di informazione, del tutto inedite, ma non necessariamente ad una stima indipendente della sua qualità. Alcune delle notizie potrebbero essere poco accurate, potenzialmente anche ingannevoli. Questo, naturalmente, è sempre stato un rischio, ma è intensificato dal massiccio aumento delle fonti di informazione.

Nel ventunesimo secolo una delle grosse sfide della protezione civile è di coinvolgere il pubblico nel tutelare la propria sicurezza. Questo richiederà un atteggiamento più aperto rispetto alla diffusione di informazione ufficiale sul rischio, sulle preparazioni per affrontare le emergenze, sulla pianificazione e sugli interventi di soccorso. In alcuni posti l'antiquato atteggiamento "non dire niente alla popolazione, potrebbe darsi al panico" prevale ancora, malgrado decenni di ricerca sociologica che dimostri in modo convincente che invece di mettersi in un panico la gente tende a comportarsi più responsabilmente quando è ben informata. Insieme a questo atteggiamento c'è quello della gente comune che pensa che la protezione civile sia da lasciare agli esperti. Gli studi dimostrano che l'abilità di superare le crisi sia maggiore nelle comunità pienamente coinvolte nell' opera di protezione delle proprie risorse.

I disastri sono stati sempre soggetti a dicerie, miti e errori di interpretazione. Molti miti sono estremamente persistenti. Ad esempio, non c'è evidenza che la presenza di salme non sepolte in una zona disastrata comporti un aumentato rischio della diffusione di epidemie (De Ville De Goyet 1999). Comunque, ci sono numerosi, e recenti, esempi della sepoltura o della cremazione indiscriminata e frettolosa, un fenomeno che può demoralizzare i superstiti e compromettere la certificazione di morte e, talvolta, la necessità legale di autopsie. Non sembra che il mero aumento del flusso e della quantità di informazione abbia ridotto il livello di credenza nei miti del disastro. Infatti, è preoccupante che, sotto pressione commerciale e politica, i fornitori di informazione stiano diventando sempre più superficiali e propensi alla manipolazione (Wenger e Friedman 1986). Così i miti vengono rinforzati dall'informazione poco accurata.

Alcuni cenni di una conclusione

Dato che gli Stati Uniti saino stati a lungo pre-eminenti nell'organizzazione della protezione civile, la loro politica e il loro atteggiamento alla gestione dei disastri ha avuto un notevole impatto su altri paesi del mondo. L'effetto degli eventi dell'11 settembre 2001 e la successiva "Guerra sul terrorismo" è stato quello di interrompere una tendenza in via di sviluppo verso l'apertura del settore e cambiare radicalmente la direzione verso la sua chiusura. Prima dell'11 settembre 2001 la gestione delle emergenze era diventata sempre più inclusiva, aperta e comprensiva. Successivamente, l'enfasi sulla "homeland security" ha causato un ritiro verso la segretezza e una forma più ristretta della protezione. Alcuni esperti temono che, per la miopia rispetto ad una larga gamma di altri pericoli, questo potrebbe distruggere i miglioramenti nel sistema ottenuti finora, o almeno ritardare il progresso verso un sistema più responsabile. Se sia vero o non, l'enfasi è sicuramente cambiata dall' aumento del flusso di informazione al pubblico verso la sua restrizione (Mitchell 2003).

Il mondo ha imparato come creare sofisticate reti per fornire informazione, ma tutti i segni indicano che esso non ha ancora capito come utilizzarle per superare alcuni problemi assai tradizionali. Tutto sommato l'inesauribile crescita della tecnologia ha avuto l'effetto di rinforzare le immagini tradizionali della realtà e le consuete costruzioni simboliche; ha contribuito poco a cambiare i filtri culturali e percettivi nella valutazione del valore e della qualità dell'informazione quando la riceviamo e la interpretiamo (vedi figura).

Come scrisse T.S. Eliot nel suo poema La Roccia del 1934,

Dov'è la Vita che abbiamo perso vivendo?
Dov'è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?
Dov'è la conoscenza che abbiamo perso nell'informazione?


Citazioni

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Benthall, J. 1993. Disasters, Relief and the Media. St Martin's Press, New York, 267 pp.

Comfort, L.K. 1993. Integrating information technology into international crisis management and policy. Journal of Contingencies and Crisis Management 1(1): 15-26.

De Ville de Goyet, C. 1999. Stop propagating disaster myths. Prehospital and Disaster Medicine 14(1): 9-10.

Fischer, H.W. III 1998. The role of the new information technologies in emergency mitigation, planning, response and recovery. Disaster Prevention and Management 7(1): 28-37.

Goltz, J.D. 1984. Are the news media responsible for the disaster myths? A content analysis of emergency response imagery. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 2(3): 345-368.

Gruntfest, E. e M. Weber 1998. Internet and emergency management: prospects for the future. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 16(1): 55-72.

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Neal, D.M. 2000. Developing degree programs in disaster management: some reflections and observations. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 18(3): 417-438.

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Wenger, D. e B. Friedman 1986. Local and national media coverage of disaster: a content analysis of the print media's treatment of disaster myths. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 4(3): 27-50.