martedì 29 aprile 2008

L'emergenza in ambiente montano



Introduzione

A livello mondiale, gli ambienti montani coprono il 20% della terra asciutta e forniscono un sostegno diretto al 10% della popolazione. Essi sono, però, aree di rischio di disastro perennemente alto a causa di climi estremi, o per lo meno di meteorologie soggette a rapidi cambiamenti, e a causa delle topografie acclive. Esistono anche ragioni sociali per l'ostilità di certi ambienti montani. Un terzo delle guerre dell'ultimo decennio è stato compiuto in montagna. Inoltre, la maggior parte della droga pesante viene prodotta negli ambienti montani, da dove viene esportata, in eludendo le misure per sradicare il fenomeno. Sebbene il Sud dell'Europa non sia attualmente teatro degli avvenimenti sopradetti, dal 1953 al 1988, tuttavia, il 10% dei disastri in montagna (maggiormente terremoti e alluvioni) sono avvenuti nel bacino del Mediterraneo.

Nonostante l'evidente importanza delle aree montane negli annali dei disastri naturali e nella questione della sicurezza della vita moderna, nei principali testi sulle calamità, solo uno contiene un capitolo esplicitamente dedicato ai rischi ed ai disastri in montagna (Hewitt 1997).

A causa della straordinaria varietà degli ambienti che vi esistono, non è facile trovare una definizione di validità globale del concetto di 'area montana'. Hewitt, nell'opera citata sopra, la considera una zona in cui le quote d'altitudine variano dell'entità di almeno 1000 metri in 25 km. E'. però, difficile arrivare ad una definizione basata sulla natura o sulla qualità dell'ambiente geoecologico o sociale, che tende a variare moltissimo sia da un luogo all'altro che con la quota d'altezza.

Pur tenendo sotto considerazione gli aspetti geografici fisici e sociali degli ambienti montani, questo articolo si concentrerà sul problema del disastro in montagna, quali effetti produce e come affrontare i rischi e gli impatti.Le emergenze in montagna si differenziano da quelle in altri ambienti per le seguenti ragioni:(a) le dure condizioni ambientali, con il loro effetto aggravante sull'impatto dei disastri e ritardante o degradante sulla qualità della risposta d'emergenza;(b) la presenza di pericoli multipli (ad esempio, terremoti che provocano frane), i quali possono facilmente interagire e così aggravare l'impatto dei disastri;(c) l'alta vulnerabilità di molte comunità sociali e ambienti fisico-ecologici in montagna;(d) le limitazioni alla manovrabilità poste da morfologie acclive e bruschi cambiamenti di quota d'altitudine;(e) le restrizioni alle comunicazioni causate da fattori topografici e morfologici.

La pericolosità

Tra i molteplici pericoli naturali in montagna, predominano alluvioni (comprese quelle di brusco impatto di tipo flash flood), frane, colate di detriti, valanghe di neve, nevicate e ondate di tempo invernale. In determinate zone ormai ben conosciute, possono predominare i terremoti o le eruzioni vulcaniche. Meno conosciute, però, ma nondimeno pericolosi sono i rischi secondari, come quello del guasto di una diga naturale, di cui le possibili cause sono piuttosto numerose. In questo contesto, il Prefetto di Sondrio ha avuto ragione di ordinare l'evacuazione della città nel 1987 durante il disastro di Val Pola: un indagine, eseguita nel 1988, su 65 casi simili ha rivelato che la maggior parte delle grosse dighe naturali si guastano provocando alluvioni catastrofiche nel giro di non più di due settimane dalla formazione (Costa e Schuster 1988).

Ad ogni modo, in genere le alluvioni avvengono più rapidamente e con meno preavviso nelle aree montane rispetto ad altre zone. Infatti, negli Stati Uniti, le due flash flood più micidiali degli ultimi 40 anni (Rapid City, South Dakota, 1972, con 315 morti; Big Thompson Canyon, Colorado, 1976, con 137 morti--vedi bibliografia) sono accaduti entrambi in aree montane. Inoltre, come le alluvioni, i terremoti, le frane e le valanghe sono più comuni nelle montagne rispetto ad aree di quota più bassa o dotate di topografia meno accentuata.

Tra le calamità naturali, una, denominata Sturzstrom o valanga accelerata di roccia, è caratteristica degli ambienti montani. La seguente tabella, che elenca alcuni degli Sturzstrom avvenuti negli Alpi europei, dimostra che il concetto di 'evento eccezionale' sia piuttosto discutibile, data l'evidente tendenza di questi fenomeni a ripetersi nel tempo e in luoghi simili o adiacenti.

Tra i pericoli di origine tecnologica che interessano le aree montane, si nota la crescente importanza di scontri di mezzi di trasporto, incendi in galleria e guasti di funivia.[1] In parte, questa tendenza all'aumentare dei pericoli riflette il crescente ruolo delle montagne come zona di transito e meta del turismo. E' essenziale, però, non dimenticare i rischi più 'tradizionali' posti dalla tecnologia e le attività che la utilizzano, quali i crolli di una diga o il disastro in miniera. L'esperienza della Val di Stava (Valtellina 1985, 264 morti) e alcuni esempi analoghi (Buffalo Creek, West Virginia, 1972--vedi bibliografia) dimostrano che non sono soltanto le dighe alte che creano problemi, ma piuttosto il tipo di innesto tra la fonte del pericolo e l'insediamento umano a valle.

Tra i rischi di origine sociale in ambiente montano si può citare, non soltanto quelli grossi come atti di guerra, ma anche problemi apparentemente piccoli che comunque possono avere ripercussioni costose o complesse. Tra queste possiamo citare la ricerca di persone disperse e gli incidenti accaduti ad alpinisti e vacanzieri. Spesso, le operazioni di soccorso sono difficili, prolungate nel tempo e costose rispetto al numero di vite salvate. Tuttavia, esiste sempre la possibilità di un 'maxi-evento'. Ad esempio, in una sola giornata a fine degli anni '90 nell'area circum-Himalaya, ben 551 turisti e alpinisti sono andati dispersi a causa di un'improvvisa ondata di maltempo. Le operazioni di soccorso erano complesse e costose, nonché impedite dallo stato del tempo. A citare un altro esempio, nel Colorado all'altezza della stagione sciistica, una sola valle ad alto rischio di valanga di neve può contenere 16.000 sciatori.

La vulnerabilità

Esiste un consenso tra gli studiosi che nel mondo la vulnerabilità delle popolazioni montane e degli ambienti montani sono in aumento praticamente ovunque. Le popolazioni degli insediamenti montani stanno aumentando, ma non necessariamente in sintonia con la 'capacità portante' delle aree sotto pressione antropica. Al contrario: il boom economico, generalmente provocato dal turismo, alimenta un forte aumento della vulnerabilità, senza creare l'apposita reazione opposta, ovvero un corrispondente aumento della resilienza.

Particolari rischi appartengono agli insediamenti umani ubicati a fondo valle accanto al piede dei versanti. La ricerca (ad esempio Duke e Leeds 1963) indica che durante i terremoti tali posti siano soggetti ad amplificazioni sismiche e subsidenza per compattazione dei sedimenti sciolti. Queste fasce di terra sottoposte anche al rischio di essere investite da colate di detriti o valanghe di neve provenienti dai versanti ripidi che le sovrastano, e possono essere soggette anche a frane di tipo sprofondamento laterale.

Anni di ricerca nel campo delle calamità naturali hanno rivelato che una buona parte della vulnerabilità proviene da azioni prese in base ad una percezione inaccurata dei rischi. A questo proposito, notiamo una costante crescita nelle attività a rischio accompagnata da una persistente tendenza a sottovalutare i rischi appartenenti a particolari siti. Perciò aumentano il numero di occasioni in cui, ad esempio, luoghi di campeggio vengono travolti da colate di fango o da flash flood. Almeno si può constatare che esista una buona casistica su cui basare gli scenari di rischio usati nella pianificazione d'emergenza.In sintesi, i maggiori problemi di vulnerabilità delle aree montane sono:


(a) l'urbanizzazione dei fondovalle, che rende i nuovi insediamenti vulnerabili ad alluvioni, frane e valanghe;


(b) lo sviluppo dei versanti più ripidi e geologicamente più instabili;


(c) il disboscamento delle zone acclive e la creazione di troppe piste da sci, che aumentano il dissesto idrogeologico e l'entità delle valanghe;


(d) la costruzione di impianti (gallerie, funivie, ecc.) senza una necessaria protezione contro i vari pericoli attivi nei dintorni;


(e) in aree di forte presenza turistica, e nei periodi critici, il sovraffollamento dei luoghi maggiormente a rischio.

Avendo recensito i pericoli, le fonti di vulnerabilità e i rischi caratteristici delle aree montane, passeremo alle loro conseguenze in termini di come avvengono le emergenze e come possono essere affrontate tramite la pianificazione e l'intervento di soccorso.

Problemi di pianificazione e gestione dell'emergenza

Per organizzare bene la protezione civile e pianificare efficientemente l'emergenza nelle aree montane, si deve affrontare una serie di condizioni limitanti più significative che in altri ambienti. Per primo, in montagna le popolazioni possono variare fortemente con la stagione. Per di più, è difficile coinvolgere i turisti nella salvaguardia della propria sicurezza, un opera che richiede, da parte del pianificatore, una particolare sensibilità alle esigenze dell'industria del turismo.

Altre iniziative del genere devono prendere in considerazione il fatto che in molte zone montane le popolazioni indigene sono relativamente anziane e possono necessitare dei trattamenti speciali nei tempi di emergenza. Infine, le risorse tendono ad essere concentrate dove esistono i maggiori centri di popolazione, mentre è spesso il caso che devono essere utilizzate in aree molto più remote, il quale pone dei problemi logistici.

In montagna richiediamo sempre maggiori prestazioni dai sistemi tecnologici e umani, comportando così un livello di rischio sempre più alto. Ad esempio, un secolo fà il Col di Gran San Bernardo restava chiuso per 7 mesi dell'anno e non esisteva altro modo di transitare direttamente dalla Val d'Aosta in Svizzera, o viceversa. Ora, il Traforo di Gran San Bernardo deve essere mantenuto aperto tutto l'anno, malgrado i problemi tecnici collegati col maltempo invernale.

Diversi dei problemi di pianificazione e di gestione dei pericoli in montagna sono determinati da questioni di spazio e di comunicazione legate all'accentuata topografia. Ad esempio, nel caso di uno scontro di uno o più mezzi di trasporto (aereo, ferroviario, su strada, ecc.), passa un discreto intervallo di tempo nello stabilire la locazione dell'evento e per far arrivare le squadre di soccorso. Talvolta sono necessari alcuni mezzi speciali per superare le difficoltà del raggiungimento del posto in tempo utile. Inoltre, le montagne non sono terreno ideale per il volo degli elicotteri.

Un analogo problema geografico è quello delle imprese agricole di ubicazione sparsa nelle zone alte che rimangono facilmente isolate durante i disastri meteorologici. Esse richiedono una gestione d'emergenza basata su una logistica particolare, con supporto aereo dovunque possibile, anche nel campo veterinario per quanto riguarda la cura del bestiame colpito dall'evento.

I problemi da affrontare nella pianificazione dell'emergenza che sono caratteristiche, anche se non esclusivamente, delle aree montane sono i seguenti:


(a) in molti casi le montagne segnano il confine tra aree amministrative diverse: questo può comportare la frammentazione della risposta all'emergenza;


(b) a causa dei problemi di comunicazione dovuti al relativo isolamento di tali aree, è generalmente più costoso garantire lo stesso livello di servizi di emergenza nelle aree montane che nelle zone basse più popolate e meglio collegate;


(c) nella maggior parte delle calamità in montagna avvengono blocchi della viabilità che impediscono l'efficiente erogazione dei servizi di emergenza, soprattutto per la mancanza di vie di collegamento alternative;


(d) in molti casi, il salvataggio in montagna richiede grandi risorse oppure spese eccessive per ottenere risultati assai piccoli;


(e) il trasporto di emergenza è più costoso e più complesso nelle aree montane: rispetto alle altre aree nel computare atti di soccorso c'è più bisogno di cambiare il mezzo di trasporto almeno una volta.

Più di altre zone, in molte parti del mondo quelle montane hanno subito pesanti interventi di protezione strutturale. Sebbene molti studiosi e pianificatori sostengono che questo sia un passo preliminare essenziale alla riduzione del rischio, le misure strutturali (gallerie, dighe, barriere, ecc., che offrono protezione contro frane, valanghe, colate, alluvioni, ecc.) comportano alcuni svantaggi. Per primo, esse possono avere seri effetti negativi sulla qualità dell'ambiente, il quale è spesso uno dei maggiori punti di attrazione di un'area montana. In secondo luogo, tali strutture hanno continuo bisogno di manutenzione, soprattutto per combattere gli estremi di clima. Infatti, la manutenzione può costare più di un terzo del costo capitale dell'opera in questione. Occorre quindi adoperare più misure non strutturali, che, però, a loro turno non sono privi di problemi, come descritto sotto.

Uno degli elementi fondamentali della pianificazione d'emergenza in montagna è la microzonizzazione dei pericoli e della vulnerabilità (cioè, del rischio). A causa di una densità di popolazione sicuramente più bassa di quella delle aree a valle, è più difficile giustificare la microzonizzazione della aree montane in termini costo/beneficio in rapporto con il numero di persone protette. Comunque, in proporzione tali indagini sono più necessarie nelle zone montane, dove i pericoli esistono in modo spesso più concentrati.

Come in tutti gli altri casi, serve una pianificazione generica dell'emergenza, arricchita di dettagliati scenari di rischio e di impatto per ciascuno dei particolari pericoli presenti nella zona.


Oltre alla microzonizzazione del rischio, i concetti e metodi di pianificazione di maggiore rilevanza alle aree montane sono i seguenti:


(a) lo sviluppo economico dovrebbe essere proseguito soltanto in base ad un'accurata valutazione dei rischi di disastro e la presa di adeguate misure di protezione in un'apposita miscela di tecniche strutturali e non strutturali;


(b) bisogna valutare le conseguenze di guasti o crolli che in se possono avere effetti limitate ma se non vengono fermati potrebbero provocare gravi disastri secondari;


(c) con ulteriore riferimento a quest'ultimo punto, bisogna valutare i rischi associati a particolari impianti, quali dighe, funivie, barriere antivalanga, ecc., irrispettivamente della loro grandezza;


(d) in montagna ci sarebbe bisogno di allestire piani speciali di intervento d'emergenza per le imprese agricole, soprattutto quelle ubicate nella zone alte e non ben collegate alle valli;


(e) dato i particolari problemi logistici e di viabilità che esistono in montagna, servono forti patti di mutua assistenza tra giurisdizioni adiacenti;


(f) per simili motivi, ci sarebbe bisogno di un potenziamento dei mezzi di comunicazione, comportando un certo livello di duplicazione (o ridondanza) per eliminare le carenze dovute a circostanze avverse, come il maltempo;


(g) in montagna serve maggiore integrazione dei mezzi di trasporto di emergenza atta a superare con più efficienza le barriere fisiche;


(h) è consigliabile immagazzinare in punti strategici di maggiore accessibilità delle quantità di viveri e attrezzi per il soccorso: questo eviterebbe i ritardi dovuti alla relativa lentezza del trasporto in ambiente montano;


(i) occorre istituire dei programmi di 'vacanza sicura' per coinvolgere i turisti nella salvaguardia nella propria sicurezza in ambienti potenzialmente ostili.

Per quanto riguarda la funzionalità dei soccorsi, sarebbe necessario pianificare delle strategie per restaurare nel minimo tempo possibile l'accessibilità e la viabilità dopo un disastro. Come al solito, il piano può essere basato su un 'disastro di progetto', ovvero un evento di riferimento su cui vengono basati gli scenari. Per di più, ovunque che è possibile, occorre progettare delle strategie per garantire l'autosufficienza dei soccorsi per periodi di 2, 4, 8 e 12 ore dopo l'impatto di un disastro.

In fine, ricordiamo che in nessun altro ambiente come quello montano siano di maggiore importanza per la sicurezza della popolazione le strategie di sviluppo sostenibile.

Citazioni

Alexander, D.E. 2002. Principles of Emergency Planning and Management. Terra Press, Harpenden, UK, 350 pp. [Capitolo 6.2]

Anbalayan, R. 1992. Landslide hazard evaluation and zonation mapping in mountainous terrain. Engineering Geology 32(4): 269-278.

Costa, J.E. e R.L. Schuster 1988. The formation and failure of natural dams. Bulletin of the Geological Society of America 100: 1054-1068.

Davies, W.E. 1973. Buffalo Creek dam disaster: why it happened. Civil Engineering 43(7): 69-72.

Duke, C.M. e D.J. Leeds 1963. Response of soils, foundations and earth structures to the Chilean earthquakes of 1960. Bulletin of the Seismological Society of America 53(2): 309-357.

Eisbacher, G.H. e J.J. Clague 1984. Destructive mass movements in high mountains: hazard and management. Geological Survey of Canada, Paper 84(16).

Henz, J.F., V.R. Scheetz e D.O. Doehring 1976. The Big Thompson flood of 1976 in Colorado. Weatherwise 29(6): 278-285.

Hewitt, K. 1997. Regions of Risk: A Geographical Introduction to Disasters. Addison Wesley Longman, Boston, Mass., 389 pp. [Capitolo 9]

Hsü, K.J. 1975, Catastrophic debris streams (sturzstroms) generated by rockfalls. Bulletin of the Geological Society of America 86: 129-140.

Ives, J.D. 1982. Mapping of mountain hazards. Impact of Science on Society 32: 79-88.

Keinholz, H., G. Schneider, M. Bichsel, M. Grunder e P. Mool 1984. Mapping of mountain hazards and slope stability. Mountain Research and Development 4: 195-220.

Rahn, P.H. 1975. Lessons learned from the June 9, 1972, flood in Rapid City, South Dakota. Bulletin of the Association of Engineering Geologists 12: 83-97.

Rengers, N., R. Soeters e C.J. van Western 1992. Remote sensing and GIS applied to mountain hazard mapping. Episodes 15: 36-45.

Scheidegger, A.E. 1988. Hazards from mass movements in mountain regions. In M.I. El-Sabh e T.S. Murty (curatori) Natural and Man-Made Hazards, D. Reidel, Amsterdam: 21-41.

Tabella n. 1: Sturzstrom storici negli Alpi europei

Località Data Volume (m;)

Airolo 1898 500.000
Diablarets 1714, 1749 50.000.000
Elm 1881 10.580.000
Flims 10.000 BP 1.224.400.000
Goldau 1806 35.000.000
Köfels 6700 BP 2.300.000.000
Lecco 1969 30.000
Schächental 1887 500.000
Triolet 1717 18.000.000
Vajont 1963 240.000.000
Val Lagone 1486 650.000
Val Pola 1987 10.000.000

[1]Un interessante esempio di quest'ultimo viene trattato sotto il profilo della protezione civile e il soccorso tecnico e medico nella rivista N&A Mensile italiano di soccorso, 2000, Anno 9, Vol. 103 (P. Cremonesi, Rapallo: intrapolati sulla funicolare).