martedì 29 aprile 2008

Sulle cause delle frane: attività antropica, percezione e processi naturali


[Riassunto]

Tre equazioni concettuali vengono presentate, illustrando i benefici netti, il rischio totale e la vulnerabilità totale associati con l'uso di una zone a rischio di calamità naturale. Per quanto riguarda una tale analisi, viene dimostrato che le frane richiedono un approccio più sofisticato di quello valido per altri rischi, poiché della loro policausalità.

Vengono presentati tre esempi di frane in atto. A Cuyocuyo, nella Cordigliera Orientale del Perú, l'instabilità dei versanti è praticamente inevitabile, ma l'intervento dell'uomo potrebbe disturbare i fragili equilibri naturali presenti nella zona. A Calciano, in Basilicata, il disboscamento ha causato una disastrosa colata di fango, ma i fattori antropici non sono gli unici che incidono in questo caso. Nella Valle dell'Orco (anch'essa nella Basilicata), i mutamenti demografici ed agricoli sono finiti nella trasformazione del bacino in un grosso complesso di colate detritiche (sebbene le cause di fondo siano anche quelle tettoniche). Questi esempi illustrano alcune aspetti di un continuo che estende dalle cause predominantemente antropiche a quelle maggiormente naturali.

Nelle tre zone di studio l'intervento dell'uomo ha giocato un ruolo fondamentale per quanto riguarda l'incoraggiamento dei fattori naturali che precedono le frane. Si conclude che la percezione dei rischi non ha comportato un'adeguata strategia di mitigazione, nondimeno per mancanza del riconoscimento delle frane come fenomeni policausali, in cui le cause antropiche non possono e non devono essere separate da quelle naturali.

Introduzione

In larga misura l'impatto delle calamità naturali è una funzione dei benefici e dei costi associati all'insediamento umano delle zone a rischio (Burton, Kates e White 1978):

Benefici netti derivati dall'insediamento della zona a rischio =
Benefici totali derivati dall'insediamento della zona a rischio -
Costo totale del danni causati dalle calamità naturali -
Costo totale dell'aggiustamento al rischio ed ai danni

Concepito in un altro modo, il totale globale del rischio è un prodotto dei seguenti elementi: la magnitudo e il grado di diffusione degli impatti di calamità naturale, il numero e la grandezza degli elementi a rischio, e la loro vulnerabilità per quanto riguarda i probabili livelli di danni e di distruzione (secondo UNESCO e UNDRO: vedi Alexander, 1990):

Rischio totale =
Impatto della catastrofe x
Elementi a rischio x
Vulnerabilità degli elementi a rischio

Tutti gli elementi in questa equazione concettuale sono capaci di variare. Mentre in certi campi l'impatto delle calamità naturali è piuttosto immutabile, o soggetto a tendenze naturali di facile individuazione, in altri, esso può essere cambiato dalle azioni dell'uomo, come nel caso della sismicità indotta dagli invasi artificiali di acqua, l'allagamento previsto in base all'effetto "serra", e la subsidenza dovuta all'eccessivo pompaggio di acqua freatica. Le leggi urbanistiche, i progetti di sviluppo, ed i piani di evacuazione sono esempi di alcune misure che possono alterare il numero degli elementi a rischio, mentre la vulnerabilità di questi ultimi risponde a tre fattori (Alexander 1991):

Vulnerabilità totale =
Misure che amplificano il rischio -
Misure per la rfiduzione del rischio +/-
Fattori della percezione del rischio

Le misure che amplificano il rischio comprendono l'effetto del cattivo uso delle tecniche di edificazione e del terreno sul quale sorgono le costruzioni, mentre la mitigazione del rischio comprende sia gli approcci strutturali che altri che non interessano l'architettura e l'ingegneria. Però, un'importante precondizione per l'impiego di entrambi questi fenomeni è la percezione del rischio, che può o multiplicare o diminuire il fattore di rischio, e che condizionerà una serie di azioni, da quelle prese dall'amministrazione pubblica a quelle associate con il comportamento individuale. L'effetto sarà positivo o negativo, secondo la sensibilità della persona che lo percepisce, e il livello della percezione rappresenta il concenso della gente su quanto incide sulla vita quotidiana il riconoscimento e la gestione del rischio di calamità naturale.

Queste equazioni funzionano abbastanza bene quando vengono applicate ai terremoti, ma meno bene quando si tratta di frane, che sono fenomeni essenzialmente policausali. Dato che le cause dell'instabilità dei versanti possono comprendere sia i fenomeni antropici che quelli naturali (e in più i fenomeni naturali aumentati dall'attività dell'uomo), in questo caso le categorie di impatto, di rischio e di vulnerabilità sono più difficili da identificare separatamente.

In questa relazione discuterò tre casi di instabilità dei pendii (uno dal Perú meridionale e due dall'Italia del Sud) che dimostrano diverse combinazioni di cause. Concluderò con una riesaminazione dei principi del rischio di catastrofe naturale per i casi in cui le cause naturali non possono essere necessariamente separate da quelle antropiche.

Le cause delle frane

I processi di franosità (ovvero, di movimento di masso) risultano sia da influenze esterne che da quelle interne (Costa e Baker 1981). I seguenti sono alcuni dei fattori esogeni che conducano un versante all'instabilità:

(a) L'aumento della lunghezza o dell'altezza del pendio.

(b) La sottrazione del sostegno laterale o sottostante (soprattutto nel caso dei tagli fatti da torrenti o fiumi, o per la costruzione di strade, ferrovie, ecc.).

(c) Il carico applicato all'apice del versante in seguito alla costruzione edile o l'apertura di una discarica, oppure da un evento franoso, o simile.

(d) Cambiamenti del rilievo relativo (la differenza di altitudine da un punto sul versante e un altro) o della pendenza locale, in seguito all'attività di costruzione, alla fagliazione geologica, oppure al sollevamento tettonico.

Questi fattori vengono complementati dalle cause endogeni delle frane, che includono i seguenti:

(a) La disintegrazione dei materiali del versante sotto l'azione degli agenti atmosferici indebolisce il suolo e diminuisce la sua resistenza al taglio.

(b) Le radici della vegetazione tendono a fermare il suolo, anche per un certo periodo dopo la morte delle piante, fin quanto non viene completato il degrado vegetale. Possono, infatti, costituire fino a 90% della stabilità di certi suoli in pendenza. Quindi, la deforestazione può comportare un'eventuale franosità.

(c) Un aumento nell'infiltrazione dell'acqua piovana può risultare nella saturazione di un suolo. Questo può essere un effetto dell'aratura del terreno, o della disorganizzazione del drenaggio superficiale attribuibile al disturbo del versante in seguito al disboscamento o all'urbanizzazione. La saturazione aumenta la pressione nei pori, il che costutuisce una forza capace di indurre la instabilità.

A parte le cause esogeni ed endogeni della franosità, è utile distinguere anche tra le cause a corto e a lungo termine. Le cause immediate comprendono quelle dovute alle vibrazioni provocate, ad esempio, da un camion che passa, ai tremori indotti da un sisma, alla pioggia intensa, e ai cicli di congelamento e disgelo. Le cause a lungo termine comprendono il lento, progressivo indebolimento del versante: il quale può essere, ad esempio, simultaneamente deprivato da una parte della sua resistenza alla degradazione provocata da forze meteoriche e lentamente sottoscavato alla base da un torrente.

L'attività antropica, quindi, può essere responsabile sia per le cause interne che per quelle esterne, in un arco di tempo che varia da quello immediato (10**-2 anni) a quello lungo (10**3 anni). Pochi eventi franosi, comunque, risultano frutto di una sola causa, come dimostrerà la seguente analisi.

Colate detritiche e valanghe di roccia a Cuyocuyo, sud del Perú

Cuyocuyo è ubicato nel Dipartimento di Puno, nella Cordigliera Orientale del Perú meridionale, circa 50 km dal confine di stato con la Bolivia e 225 km dal Lago di Titicaca. I quarziti e gli scisti metamorfici della Formazione di Sandia (Ordoviciano) e gli scisti metamorfici della Formazione di Ananea (Siluriano-Devoniano) sono stati compressi dall'orogenesi andina nella forma dell'anticlinorio di San José-Sandia, con pieghe aperte e a scaglione, e molti accavallamenti (Laubacher 1978). Il Rio Cuyocuyo defluisce verso nordest, dove raggiunge eventualmente il bacino amazonico. Al paese di Cuyocuyo esso passa sotto alcuni picchi che raggiungono delle quote intorno a 4400-4950 m s.l.m., essendo disceso dall'altipiano Carabaya dove le quote sono di 4500-4650 m. La valle di Cuyocuyo è profonda circa 1000 metri dalle sue spalle rocciose al fondo, e queste prime sono ubicati ben 1500 metri sotto la quota delle sommite più alte. I versanti laterali delle valli mantengono un angolo medio di circa 42 gradi, e sono ricoperti di materiali detritici che formano dei conoidi e delle fascie (derivate rispettivamente da punti e zone in alto) che mantengono le loro pendenze tra i 32 e i 42 gradi.

Un terrazzamento antropico estende largamente sui versanti laterali, dove esso è esistito per un periodo indeterminato, ma probabilmente tra 550 e 1500 anni. La maggior parte dei terrazzi sono costruiti da un fitto pietrame di notevole sofisticazione. Mentre parecchie di queste costruzioni sono state ben mantenute fino al giorno presente, un'energia del rilievo così alto significa che non sono sufficiente per fermare tutti i processi franosi ed erosionali.

Alcuni movimenti franosi hanno avuto conseguenze piuttosto serie. Al nord del paese di Cuyocuyo, la strada che passa lungo la valle ha sottoscavato il piede del versante orientale. Coperture detritiche poco profonde si sono stacate dai versanti per delle aree fino a 3,5 ettari. Dove i detriti provenienti dall'alto vengono incanalizzati da solchi di origine strutturale, essi formano dei coni che tendono ad essere instabili se vengono scavati alle loro basi. Negli anni '80 uno di questi distrusse un gruppo di case a fondo valle, e gli occupanti si sono dovuti scapare tempestivamente.

Grossolani detriti clastici proveniente dai versanti laterali sono accumulati nel Rio Jilari, un affluente del Rio Cuyocuyo. Nel 1983 e nel 1984 forti alluvioni hanno causato una colata di lunghezza quasi 2 km nei detriti così incanalizzati e saturi d'acqua. Essa ha invaso il paese di Cuyocuyo, distruggendo la pieve e molte case, e uccidendo due persone. (Secondo i racconti di alcuni testimoni locali, il movimento è stato un tipo intermedio tra una colata detritica e un'alluvione iperconcentrata di detriti, ma carico di scisti metamorfici di grosso calibro: vedi Wieczorek (1989) per un'analisi del fenomeno generale.)

A Nacoreque, circa 3-4 km a nord di Cuyocuyo, il paesaggio mostra segni di due grandi valanghe detritiche di epoca prestorica. La valanga Nacoreque II mobilizzò circa 600.000 mc di roccia e di sedimenti, che scivolarono su un pendio di 33 gradi e che bloccarono immediatemente il Rio Cuyocuyo per una profondità di circa 100 m. Vari esempi contemporani dello stesso fenomeno sono stati descritti per le Ande del Perú. Nel 1971 la Valanga di Chungar mobilizzava circa 100.000 m3 di roccia (Plafker e Eyzaguirre, 1978), mentre la valanga che nel 1974 travolse il campo miniero di Mayunmarca mise in moto 109 m3 di detriti ad una velocità di circa 130 km/ora (Kojan e Hutchinson, 1978). Tre eventi simili sono stati descritti per il Monte Huascarán, con una gamma di velocità che estende da 170 a 355 km/ora (Plafker e Ericksen, 1978). Secondo le evidenze stratigrafiche:

(1) queste valanghe sono successe prima del Olocene, quando le condizioni di lento degrado, alle quali i detriti sono stati sottoposti, erano più marcate di quelle attuali;

(2) le valanghe erano del tipo super-rapido (gli sturzströme) con postazione caotica dei detriti (Hsü 1975);

(3) entrambi i movimenti hanno bloccato il Rio Cuyocuyo, creando dei laghi provvisori;

(4) questi laghi si sono svuotati progressivamente in una serie di forti alluvioni (cfr. Costa e Schuster 1988).

Da questi esempi, è chiaro che, per quanto riguarda i movimenti franosi a Cuyocuyo, le cause naturali predominano su quelle antropiche. Sei episodi di orogenesi sono avvenuti nelle Ande centrali dal tardo Paleozoico all'epoca pliocenica. Inoltre, durante il Quaternario ci sono stati almeno quattro episodi di glaciazione (Clapperton 1983). Quindi, il paesaggio attuale sta rispondendo con una tardiva serie di aggiustamenti sporadici agli eventi che nel passato hanno disturbato il suo equilibrio (Satoh 1980). La produzione dei detriti e l'energia del rilievo sono stati entrambi molto alti, e la franosità è una conseguenza inevitabile di questo. L'intervento dell'uomo, come il sottoscavo dei versanti, ha avuto un impatto piuttosto ristretto sull'instabilità dei versanti, ma la vulnerabilità umana in un tale ambiente rimane particolarmente alta.

Le colate detritiche in Italia meridionale

(a) Calciano, Basilicata

Il piccolo comune di Calciano è ubicato sul fianco meridionale della Valle del Basento nella regione meridionale di Basilicata, 62 km dal Mare Ionio. Le immediate vicinanze dell'insediamento consiste in sette bacini imbriferi, con un'area limitrofa di 1058 ettari e un'inclinazione di 10 gradi verso il settentrione che significa una discesa da 735 a 225 metri s.l.m. L'area locale viene dominata dalla Formazione di Serra Palazzo, che comprende una serie di calcari stratificati, che sono intercalati con argille marnose grigie, tuto ciò datato al Tortoniano-Langhiano del Miocene (7-11 Ma, B.P.). Alcuni resti della Formazione dei Sabbioni di Garaguso, più giovane di età dei calcari, giacciono sopra e comprendono sabbie argillose con lenti e livelli di ciottoli e ghiaie (Crostella e Strocchi 1969). Quattro colate detritiche e due aree di calanchi si sono sviluppate nei depositi di Serra Palazzo.

Per quanto riguarda l'uso del terreno, tradizionalmente, è una località di boschi secolari, ma il disboscamento, e la degradazione delle foreste rimaste, hanno comportato un'elevata instabilità dei pendii. Specificamente, negli anni '60, 77 ettari di boschi ubicati a quote superiori ai 400 m, per un totale del 18,9% dell'area dei due bacini centrali, sono stati gradualmente trasformati in terreno coltivato. Il deflusso superficiale delle acque meteoriche e il trasudamento di quelle freatiche hanno aumentato la portata di alcune sorgenti ubicate presso i contatti litologici in fondo ai campi coltivati ad una quota di 500 m circa. Questo cambiamento dell'idrologia locale ha provocato una colata detritica che eventualmente ha travolto tre sbarramenti in cemento armato ed ora minaccia la ferrovia Napoli-Taranto che passa lungo la Valle del Basento al piede dei bacini.

In sintesi, a Calciano le cause antropiche predominano su quelle naturali. Mentre le condizioni tettoniche e litostratigrafiche indubbiamente si combinano in modo tale da rendere probabile l'instabilità del terreno (ad esempio, il trasudamento delle acque freatiche è stato facilitato dai contatti tra gli affioramenti di arenarie e di argilloscisti, mentre l'assetto strutturale di questi depositi ha effettivamente guidato il movimento), il fattore principale è stato il disboscamento e l'alterazione dell'assetto idrogeologico del versante. Un ruscello sia superficiale che ipodermico dai campi coltivati ha alimentato un trasudamento ai contatti tra marne ed arenarie in superficie, fino a che le pressioni interstiziali non erano sufficienti a mobilizzare circa 125.000 m3 di detriti dal torrente e dai suoi versanti laterali.

Il disboscamento a Calciano può essere visto nell'ottica di una tendenza generale in Basilicata mediante questo secolo di sradicare le foreste demaniali e quindi di aumentare in corrispondenza le aree dedicate alla coltivazione dei raccolti ed ai pascoli.

(b) Valle dell'Orco, Basilicata

Il Torrente Orco e il vicino Torrente Sativo defluiscono verso nord e entrano il Fiume Basento ad un punto 84 km dal Mare Ionio e 2 km a sudovest del paese di Vaglio Basilicata. Il bacino imbrifero dell'Orco-Sativo (che verrà nominato qua come la Valle dell'Orco) è di 675 ettari (6,75 kmq), è ubicato a quote tra 580 e 1115 m s.l.m. e ha una pendenza media di 8 gradi. Il 10% più settentrionale del bacino consiste in argille, argille limose, calcari e diaspri in un'unità alloctona del Miocene, mentre il resto del bacino comprende le argille variegate, le marne, le arenarie ed i calcareniti della Formazione di Corleto Perticara dell'Oligocene. Entrambi vengono considerate delle formazioni di elevata erodibilità (Palmentola et alii 1981). Il bacino ha una pioggia media annuale di circa 800 mm, con la marcata stagionalità di un tipico clima mediterraneo.

Nel periodo 1955-1980 il bacino ha subito una drammatica trasformazione, con la metamorfosi di un sistema di torrenti, molto esteso ma solo leggermente inciso, in un vasto complesso di colate di fango e di detriti, che eventualmente è venuto ad occupare 271 ettari, o circa 40% del bacino. L'inondazione del sistema di drenaggio dai detriti delle colate ha provocato una riduzione nella lunghezza totale dei canali presistente da 56,9 km nel 1955 a solo 19,96 km nel 1980. In questo modo la densità del drenaggio è stato ridotto da un valore di 8,43 (km di canali per km5 di territorio) ad uno di 2,96. Mentre il Torrente Orco ha mantenuto il suo drenaggio al quarto ordine del sistema Stahler, l'adiacente Torrente Sativo è stato ridotto dal quarto al terzo ordine.

La potenziale causa più ovvia di questa straordinaria trasformazione è la razionalizzazione e la meccanizzazione dell'agricoltura. Il periodo che estende dagli anni '50 a quelli '80 era uno di profonda trasformazione dell'economia rurale della Basilicata. Negli anni '70 le occupazioni agricole per la prima volta costituivano meno del 30% della forza regionale del lavoro, mentre la disoccupazione toccava il 15% di questo gruppo, e l'impiego nel settore terziario si aumentava del 82% (Regione Basilicata 1985). L'aumento naturale della popolazione calava dal 10,7% nel 1951 al 1,5% nel 1981, mentre la popolazione residente diminuiva del 13% a causa della migrazione al cuore industriale nel nord dell'Italia e dell'Europa (soprattutto, di manodopera agricola dai comuni rurali: la popolazione dell'alta Basilicata era minore nel 1981 che nel 1881--Università di Napoli, 1981). In Basilicata l'introduzione del trattore e la fine dell'uso del cavallo nell'aratura sono venute tardi, ma queste innovazioni hanno cambiato radicalmente le tecniche di coltivazione della terra, maggiormente verso l'aumento dell'area e la regolarizzazione della forma dei singoli campi. Nello stesso tempo, la riduzione nella pressione sul terreno della popolazione ha facilitata l'unificazione delle parcelle in unità più grandi. Calciano e la Valle dell'Orco sono ubicati nella fascia del territorio meridionale che era sottoposta alla Legge Stralcio della riforma agraria del 1950, la quale è venuta da costare allo Stato Italiano lire 709 miliardi nel periodo 1950-1964. Essa risultava nel reinsediamento delle vecchie masserie dei latifondi (King, 1971). Però, i due siti non sono stati toccati direttamente dalla riforma, sebbene la ridistribuzione di una parte del terreno più fertile non abbia potuto favorire l'abbandono di alcuni poderi nelle zone esaminate qui. L'introduzione dei concimi sintetici ha favorito l'abbandono del maggesato a favore dei continui raccolti annuali di grano, senza una rotazione. In fine, le sovvenzioni agricole della Comunità Europea hanno favorito l'abbandono totale del terreno più instabile o infertile.

Come risultato di questi cambiamenti, il numero dei poderi nella Valle dell'Orco è sceso da 25 nel 1955 a 13 nel 1980. L'assetto dei campi è stato alterato drasticamente dall'amalgamazione delle tenute e dalla meccanizzazione dei processi agricoli, in modo tale da ridurre il numero di confini.

Per quanto riguarda le proporzioni relativi dei vari tipi di uso del terreno nella Valle dell'Orco nel 1955 e nel 1980, si nota i seguenti punti:

(1) L'abbandono del terreno agricolo aveva già cominciato nel 1955, e molti ettari lasciati in maggesato quell'anno non sono stati eventualmente rimessi in produzione.

(2) L'area del terreno dedicato al pascolo ben curato è rimasta approssimamente costante.

(3) Grazie ad un programma regionale di rimboscamento l'area di silvicultura è aumentata, ma di solo 47,5 ettari, o del 7% del bacino. In parte questa situazione risulta dall'impossibilità di rimboscare il terreno sottoposto a colate di fango attive: quindi, lo schema non ha inciso molto sulla stabilità dei versanti.

(4) Dal 1955 al 1980, l'area totale di terreno intensamente gestito dagli agricoltori è diminuito di 117,5 ettari, o del 17,4%, in corrispondenza con l'abbandono dei campi coltivati.

Nelle argille del Neogene lucano le frane e le colate sono fortamente associate con l'incisione dei torrenti. Esse tendono a venire intorno ai capi di torrente e alle curve dei meandri, e di essere stimolate dall'aratura, che ha l'effetto di concentrare l'infiltrazione delle acque piovane al fondo del solco, creando così un ruscellamento ipodermico prolungato dalla detenzione dell'acqua appena sopra il livello del substrato. E' quindi probabile che l'aratura più profonda e la coltivazione più intensa (senza maggesato) sono responsabili per un aumento nel deflusso di acqua e di sedimento verso i torrenti, e quindi dell'inizio delle colate detritiche (Alexander 1981). Questa ipotesi viene confermata dall'ubicazione di aree estese di terreno, attualemente e storicamente coltivato, immediatamente a monte delle corone delle colate di fango che in fine si sono sviluppate. L'abbandono del terreno fu conseguenza, quindi, non soltanto della depopolazione rurale e della trasformazione dell'agricoltura, ma anche dell'aumento nell'instabilità del terreno associato con lo sviluppo di vasti complessi di colate detritiche. Così, la riforestazione era costretta di non oltrepassare ai fianchi dei torrenti di crescente instabilità basale.

Questa spiegazione, comunque, non è sufficiente, poiché essa ignora le cause naturali del cambiamento geomorfologico, come la tettonica attiva. La rotazione in senso anti-orario dell'Italia e l'apposito accorciamento crostale hanno comportato un'accentuata deformazione neotettonica nel sud della penisola (Ippolito et alii 1975). Nel basso e medio Pliocene la media Valle del Basento è stata sottoposta alla subsidenza, seguito da un crescente sollevamento avvenendo dal Pliocene superiore al presente. Il quadro locale è, comunque, più complicato. Ad esempio, un terremoto del 1980, con epicentro ubicato 31 km a sudovest della Valle dell'Orco è successo con fagliazione normale (in régime distensivo), mentre il sisma del 1973, con epicentro 42 km a nordovest della Valle dell'Orco, è avvenuto con una fagliazione trascorrente (Cello et alii 1982).

Questi eventi servono, nondimeno, a prestare enfasi al fatto che la tettonica locale è molto attiva. A scopo di investigare il suo effetto geomorfologico, gli allineamenti strutturali della Valle dell'Orco sono stati cartografati da fotografie aeree datate 1955, 1974 e 1980. Si manifestano come una serie di schieramenti topografici, di cambiamenti della tessitura e della tonalità del suolo (a causa di differenze nel suo contenuto di umidità), e di ombre causate da piccole depressioni nel livello della superficie. Essi rappresentano, probabilmente, le tracce superficiale di faglie e fratture sepolte sotto la giaccitura di sedimenti. Questi allineamenti dimostrano un dominante andamento appenninico (NNO-SSE) ed anti-appenninico (OSO-ENE), insieme ai resti di un sistema più vecchio (probabilmente mio-pliocenico) di fratture orientate in un sistema coniugato con direzioni NE-SO e NO-SE. Ippolito et alii (1975) consideravano le faglie appenniniche ed anti-appenniniche semplicemente come aggiustamenti tettonici alle fasi orogeniche successe dall'Oligocene al medio Pliocene. Gli allineamenti tracciati dalle fotografie aeree corrispondono bene a quelli derivati con il metodo "Shadow" (Funiciello et alii, 1977), a parte che i primi danno enfasi alla direzione NNO-SSE a spesa di quella ONO-ESE, mentre il contrario è vero per gli allineamenti trovati dal metodo "Shadow". Gli allineamenti OSO-ENE osservati sulle fotografie aeree possono essere collegati ai vettori ottenuti nelle soluzioni per i piani di taglio per terremoti avvenuti in questa zona e datati 1962, 1980 e 1984. Questo conferma la rotazione in senso anti-orario dell'Italia, chiudendo così il bacino dell'Adriatico intorno ad un polo alpino (Anderson, 1987).

Nel 1955 15,03 km di canali erano chiaramente schierati con gli allineamenti tettonici, e molti altri segmenti di torrente mostravano un'inflessione al punto di incrocio con le tracce di frattura. Si specifica che gli allineamenti non sono stati individuati in base alla loro corrispondenza con i canali di torrente, ma in rispetto a segni più generali come solchi topografici non legati ai canali. Entro il 1980 5,6 km di canali guidati dagli allineamenti sono stati obliterati, ma la proporzione dei torrenti che seguivano gli allineamenti era aumentata dal 26,4% al 47,2%. In questo modo, i canali di torrente schierati con le tracce di frattura o di faglia tendono ad essere più resistenti all'obliterazione dalle colate di fango.

L'orientazione dei segmenti di canale e dei lobi di colata è così disordinata tale da precludere l'uso del diagrammi a rosa per paragonarla con la direzione degli allineamenti trovati sulle fotografie aeree, ma ci sono dei notevoli schieramenti tra alcuni degli allineamenti che attraversano la zona di studio e l'assetto dei lobi delle colate di fango. In particolare, almeno quattro allineamenti coincidono con colate che sono lunghe almeno 1,0 km, e vari allineamenti si schierano diagonalmente con i lobi presenti in gruppi di colate ben isolati l'uno dall'altro. Ciccacci et alii (1987) hanno trovato una forte correlazione tra l'assetto del drenaggio e quello delle fratture nella zona del Lago Bracciano, a nord di Roma. Inoltre, nel Lazio l'ordine dei singoli canali dimostrava una correlazione con le direzioni dominanti degli allineamenti, suggerendo così che i torrenti di ordine più alto siano più vecchi e siano quindi condizionati da régime tettonici antestanti a quello attuale.

In sintesi, le cause principali del complesso di colate di fango che si è recentemente sviluppato nella Valle dell'Orco possono essere riassunte come segue:

(1) Le formazioni alloctone che costituiscono il bacino sono fortemente disturbate dalla tettonica e consistono in unità litostratigrafiche di grande variabilità ma di estrema erodibilità. La presenza di una multitudine di contatti tra rocce di diverse plasticità e permeabilità facilita l'aumento della pressione interstiziale e quindi della franosità.

(2) Un'intensa fratturazione, causata dalla tettonica, ha creato una serie di linea di debolezza, dove le acque freatiche vengono concentrate e sia l'instabilità dei versanti che l'erosione dei torrenti godono un più facile sviluppo.

(3) Cambiamenti drastici nell'uso e nella gestione del terreno agricolo hanno accelerato la tendenza innata all'instabilità del terreno, forzando il passaggio attraverso la soglia tra un'incisione torrentizia non profonda e una serie di attivissime colate detritiche, su scala più larga. La meccanizzazione della produzione del grano duro, senza maggesato, ha aumentato il ruscellamento ipodermico delle acque piovane e quindi anche la sedimentazione verso i canali, che in seguito sviluppano le colate di detriti quando sono saturi d'acqua.

Sarebbe un errore di isolare qualsiasi di queste cause, dato che non sono soltanto complementarie ma sono anche mutualmente dipendente.

Il contesto generale dell'erosione mediterranea

L'origine dei depositi alluvionali dell'area mediterranea e della loro incisione è enigmatica. Mentre non ha ignorato i fattori naturali, Claudio Vita-Finzi (1969) ha preferito quelli antropici nella sua spiegazione del deposito più giovane che è spesso visibile nelle valli del bacino mediterraneo. Questo poteva essere frutto di un'erosione concomitante ad un'instabilità di versante largamente diffuse in seguito all'inizio dell'agricoltura sui terreni nuovamente disboscati a quote d'altitudine elevate. La veduta del Vita-Finzi è stata contestata, ma pochi dei critici propongono una dominante causa naturale. Ad esempio, Donald Davidson (1980) ha constatato che il quadro è più complicato, ma che i fattori culturali costituiscono l'influenza maggiore alla scala locale. Catherine Delano Smith (1979) ha osservato che il presente mosaico di vegetazione è frutto delle attività antropiche, ed è inerentemente instabile, dato che manca la resistenza dotata da una naturale successione al climax ecologico. Se questa fosse la considerazione principale, il problema sarebbe ridotto a quello della datazione dei periodi di disboscamento. In Grecia Davidson (1980) si è puntato sul primo e sul secondo millennio a.C., quando la pressione della popolazione si è manifestata per la prima volta nelle zone a quote elevate. Cestaro e Rosa (1973), invece, preferivano il medioevo, quando le incursioni dei barbari forzavano i popoli indigeni dalle valli verso gli spartiacque. Ma secondo la Tabella n. 3, una proporzione notevole del disboscamento in Basilicata è successo nel secolo presente, a parte il fatto che poteva essere in molti casi la distruzione di una crescita secondaria (cfr. Delano Smith, 1979, p. 317).

In Basilicata la riforestazione è stata considerata tradizionalmente come la panacea per i problemi di erosione e di instabilità dei versanti. Secondo Paolo Corti (1976), nei suoi protagonisti sono compresi gli eminenti meridionalisti Giustino Fortunato, F.S. Nitti e Giuseppe Zanardelli. Mentre era Primo Ministro, l'ultimo di questi commissionò una relazione sulla Regione che non esitava ad attribuire molti dei problemi connessi alla perdita del suolo lucano al disboscamento. Ma il geografo francese Bernard Kayser, che ha eseguito uno studio seminale dell'erosione in Basilicata, ha constatato che nella Regione ci sono numerosi esempi dell'asportazione di boschi da frane che chiaramente non risultano frutto del disboscamento (Kayser 1964, p. 109). In ogni caso, sarebbe molto difficile verificare che il disboscamento e l'erosione siano sincroni a scala regionale, anche se alcuni studiosi hanno tentato di farlo (ad esempio, Judson 1963, 1968).

Discussione finale

I tre esempi presentati in questo articolo dimostrano diversi gruppi di condizioni. Nel caso peruviano l'instabilità dei pendii è in effetti un fenomeno naturale inevitabile, dato che gli aggiustamenti geomorfologici post-orogenici e post-glaciali avvengono entrambi in un ambiente di alta energia del rilievo. Invece, a Calciano un disboscamento recente è responsabile per la creazione di una colata di fango distruttiva di grandi dimensioni. In fine, nella Valle dell'Orco i cambiamenti nell'uso del territorio si uniscono con le persistenti forze tettoniche nella creazione di un grande complesso di colate detritiche.

Il fattore comune in questi casi è che l'intervento dell'uomo (rappresentato dalla costruzione di una strada a Cuyocuyo, dal disboscamento a Calciano, e dal cambiamento agricolo nella Valle dell'Orco) è capace di distruggere un equilibrio fragile e provvisorio sui pendii e nelle valli. Il significato attribuito a questo dipende dalla capacità delle forze naturali di eseguire un cambiamento analogo, e se lo potrebbero fare su una scala paragonabile a quella delle forze antropiche.

Tornando all'equazione della vulnerabilità totale, gli esempi presentati in questo articolo costituiscono tre casi nei quali l'azione dell'uomo ha provocato l'amplificazione del rischio totale. Alcune misure di mitigazione del rischio sarebbero state praticabili, ma dato l'inevitabilità dei movimenti franosi in ciascuno dei tre siti, la strategia migliore sarebbe di evitare l'amplificazione del rischio con un cattivo uso del terreno: è improbabile che le misure più comprensive (e costose) per la riduzione delle cause naturali della franosità abbiano più grande probabilità di successo. Questo fatto ha alcune implicazioni importanti per l'ultimo elemento nella prima equazione data sopra, il costo totale dell'aggiustamento al rischio della franosità.

Un altro fattore comune ai tre esempi è che la percezione del rischio non gioca un ruolo significante nella riduzione della vulnerabilità totale. Poche tentative sono state fatte per studiare gli atteggiamenti alle frane tra il pubblico e tra i pubblici ufficiali (vedi Alexander 1989). Anche se nelle zone studiate il rischio della franosità fosse percepita molto chiaramente, questo riconoscimento non si è tradotto in un'adeguata strategia per evitare o ridurre i rischi. Come dice il Kayser (1964), il rimboscamento, percepito da molte persone di influenza come la migliore strategia per la riduzione dell'instabilità dei versanti, non è una panacea in Italia meridionale. In questo caso c'è stata una dicotomia tra la percezione dei praticanti (gli agricoltori che hanno ignorato il problema) e i teoristi (che hanno percepito accuratamente il problema, ma non la soluzione). Malgrado la presenza di molti terrazzamenti pre-colombiani, a Cuyocuyo la franosità viene accettata come uno dei molti pericoli inevitabili della vita nelle alte Ande. A Calciano e nella Valle dell'Orco, la politica della Comunità Europea, che dá sussidi ai prezzi agricoli, non incoraggia la conservazione del suolo, poiché non offre nessun incentivo neanche per considerare le apposite misure. Quindi, la percezione del rischio risponde alle circostanze economiche, le quali aggiungono una certa artificialità alla gestione del rischio, perché la realtà dell'erosione del suolo così non viene affrontata.

La conclusione finale derivata da questa analisi è che i vari elementi presenti nelle equazioni del rischio e della vulnerabilità devono essere disaggregati ancora. La mancanza di interesse nelle frane (ovvero, la percezione 'negativa' nell'equazione per la vulnerabilità) significa che l'amplificazione del rischio a causa della cattiva gestione del territorio può spingere i versanti oltre i limiti naturali della stabilità, a che punto le cause ed i processi puramente geologici c'entreranno in larga misura. Infatti, l'ubiquità delle frane è dovuta in grande misura alla loro natura policausale.

Ringraziamenti

Ringrazio la Prof.ssa Helen M. Rendell dell'Università del Sussex per il suo gentile aiuto con il rilievo eseguito sulla frana di Calciano. Grazie, anche, al Prof. Bruce Winterhalder per il suo generoso sostegno della mia permanenza nel Perú.

Citazioni

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