martedì 29 aprile 2008

La comunicazione al pubblico di un disastro imminente



Riassunto. Questo articolo descrive il processo di preavviso in termini di un sistema di interconnessi componenti tecnologici, organizzativi e sociali. La ricerca sociale verrà esaminata con riferimento alla natura del preavviso, al contenuto dei messaggi, alle risposte del pubblico ai preavvisi, ed ai possibili ostacoli alla comunicazione del rischio tramite il preavviso. Per dimostrarsi efficace, un preavviso deve specificare esattamente che cosa sta per succedere e che cosa si deve fare per minimizzare l'impatto. Secondo la ricerca, il pubblico trova le fonti ufficiali più attendibili di quelle informali, come la famiglia e i gruppi di pari. Un preavviso vago solleciterebbe una risposta insufficiente, ma tutte le qualità di preavviso stimolano il pubblico a cercare conferma delle informazioni comunicate. Alcune persone che ricevano un preavviso di disastro imminente esibiscono uno stato di inerzia e una tendenza alla normalità (in inglese, normalcy bias). Ma anche se non tutte le persone sentono o capiscono i preavvisi, solo una minoranza di persone li ignoreranno e ancora meno rifiutano di obbedire le istruzioni comunicate. La ricerca sociale aiuta a specificare i requisiti di un buon messaggio di preavviso: deve essere chiaro, privo di ambiguità, ripetuto, ricco di informazione e deve conformare al senso di altri messaggi trasmessi.

Introduzione


E' assiomatico che il processo di preavviso debba essere separato da quello di previsione dei disastri. Nel contesto della protezione civile, il termine previsione riferisce all'indicazione scientifica di quello che sta per accadere, mentre il preavviso offre un consiglio pratico sulla natura, lo scopo e i tempi dell'impatto, insieme a una serie di raccomandazioni, oppure ordini, riferenti alle azioni da svolgere per preservare la vita e minimizzare i danni (Alexander 1993, p. 400). In genere, le previsioni sono opera degli scienziati e il preavviso è compito delle autorità civili. In larga misura, la forza e la qualità del collegamento tra questi due lati della protezione civile determinano il successo delle misure atte a proteggere la gente contro un disastro imminente.

Le fasi della preparazione a corto termine per un disastro sono le seguenti (Foster 1980, p. 172):

(a) identificare una minaccia alla sicurezza della popolazione;

(b) prevedere i tempi, l'area di territorio interessata, e la magnitudo dell'impatto imminente;

(c) istituire uno stato di preallarme (hazard watch): uno stadio di prontezza preliminare in cui il pericolo non si è ancora materializzato in pieno;

(d) istituire uno stato di allarme (hazard warning): uno stadio in cui si deve dare immediatamente all'azione perché un impatto è certo, o quasi certo, nell'immediato futuro;

(e) impatto e risposta all'emergenza.

Secondo la ricerca, la prontezza e la risposta non tendono ad avvenire in modo liscio in seguito all'identificazione del pericolo, ma esse invece si sviluppano in una serie di fasi separate (Drabek 1986, pp. 70-99). Questo dimostra che la progressione ai livelli più alti di allarme, e la conversione delle osservazioni scientifiche in ordini di mobilitazione, sono interrotte da una serie di soglie di consapevolezza, di decisione e di azione (Burton et al. 1993).

Il grado di collegamento tra le fasi che distinguono questo processo è così importante che la mancanza di una previsione di disastro imminente inevitabilmente comporterà un'inabilità di preavvisare la popolazione. Ad esempio, l'Ufficio Meteorologico britannico non è riuscito a prevedere la tempesta del 15-16 ottobre 1987, nella quale la pressione atmosferica cadde a 958 millibar, i venti si alzarono a 62 nodi, con raffiche a 90 nodi, 18 vittime morirono e il disagio toccò ben 25 milioni di persone. Nel sudest dell'Inghilterra 15 milioni di alberi caddero nella tempesta, la peggiore di colpire la regione dal 1703, e il preavviso fu quasi inesistente perché i meteorologi avevano sottostimato la potenza della depressione e avevano sbagliato la sua direzione di movimento (Weather 1988).

Un pieno sistema di preallarme e preavviso è composto di una serie di elementi tecnologici, organizzativi e sociali atti a formare una struttura coerente e ben funzionante. I principali componenti sono i seguenti:

(a) la ricognizione di un tipo specifico di pericolo;

(b) la progettazione di un sistema atto a monitorare il fenomeno pericoloso;

(c) la creazione di un sistema che trasmette l'allerta alle competenti autorità;

(d) la decisione di chi preavvisare, di che cosa, quando e come;

(e) l'educazione del pubblico e le iniziative atte ad aumentare il grado di consapevolezza del pericolo;

(f) il monitoraggio e la gestione dell'evento durante il suo percorso;

(g) la recensione, il rodaggio e la modificazione del sistema per potenziare la sua efficienza.

Bisogna rinforzare le comunicazione in entrambi i sensi di flusso. Per primo, gli scienziati che monitorano i pericoli devono informare le autorità civili dei cambiamenti della situazione monitorato mentre le autorità civili devono comunicare i loro bisogni di informazione agli scienziati. Secondo, la popolazione deve essere preavvisata quando è necessario tutelare la sua sicurezza e le sue risposte al preavviso devono essere valutate dalle autorità per assicurare che i preavvisi siano efficaci (McLuckie 1973).

Un caso molto particolare, e parecchio sconvolgente, che raffigura il fallimento di questi meccanismi è quello dell'eruzione del novembre 1985 del vulcano colombiano Nevado del Ruíz. Al momento dell'eruzione erano disponibili delle carte dettagliate della pericolosità del vulcano, e funzionava a una rete di monitoraggio composta di sismometri ed altri apparecchi scientifici, sebbene c'era una proposta di togliere alcuni degli strumenti. Il giorno 12 novembre 1985 nessun evento immediato era atteso, dato che non erano stati individuati dei segni particolari di eruzione imminente, anche se il vulcano era considerato di essere in uno stato pericolosissimo pre-eruttivo. Il parossismo ebbe inizio alle ore 15,06 il giorno successivo; alle 19,00 del 13 novembre la Croce Rossa locale ordinò via radio l'evacuazione della città di Armero, ubicato al piede del vulcano, la quale già aveva ricevuto una pioggia di ceneri. L'ordine non fu comunicato sistematicamente agli abitanti, e alle 23,35 dello stesso giorno 23.000 di loro morirono quando Armero fu investito dalle colate di fango vulcanico (le lahar). Malgrado che i dati vulcanologici fossero insufficienti, erano buoni tale da rivelare in pieno la magnitudo del rischio. Le preparazioni per il disastro furono tardive, burocratiche, poco sistematiche e incompiute. I gruppi di protezione civile non erano preparati per affrontare uno stato di incertezza in cui un'eruzione poteva avviarsi con pochi segni premonitori, e quindi la catena di preavviso si spezzò facilmente. Così si ebbe un tragico fallimento di comunicazione tra gli scienziati, le autorità di protezione civile e il pubblico a rischio (Hall 1990, p. 113).

Le seguenti sezioni di questo articolo esamineranno il processo di preavviso in termini di che cosa significa alla sicurezza della popolazione, come le persone rispondono ai messaggi, come il preavviso viene confermato da chi lo riceve, e quali sono gli ostacoli sociali e percettivi alla formulazione di preavvisi efficaci. Verranno considerati alcuni dei successi e dei fallimenti del passato, e quindi saranno valutati i dilemmi inerenti nel processo di preavviso. Infine, verrà sviluppato un quadro dei requisiti di un buon preavviso.

La natura e il contenuto dei messaggi di preavviso

Un buon preavviso dovrebbe fornire alla popolazione una serie di messaggi che specificano con chiarezza, brevità e esattezza:

(a) che cosa con ogni probabilità sta per succedere (la natura dell'impatto atteso)

(b) quando succederà (la "finestra di tempo" che definisce la validità del preavviso)

(c) dove succederà (la probabile ubicazione geografica dell'impatto)

(d) quali saranno le conseguenze dell'impatto

(e) quali azioni sono da prendere per superare l'impatto (ad esempio, evacuare la gente a particolari località sicure entro un particolare momento nel tempo)

(f) se la risposta prescritta dal preavviso sia obbligatoria o facoltativa

(g) a chi rivolgersi per ottenere ulteriori informazioni (quando e dove sarà possibile)

Fino ad un certo punto, il contenuto dei messaggi di preavviso viene dettato dalla qualità dell'informazione scientifica a disposizione, come evidenziato dal caso della tempesta in Inghilterra meridionale nel 1987 (vedi sopra). Questo problema è particolarmente difficile da risolvere nel caso delle previsioni di un terremoto. Nel 1975, 48 ore in anticipo di un sisma rovinoso, i cinesi sono riusciti ad evacuare quasi un milione di persone dalla zona di Haicheng-Yingkao. Questo successo ha dato l'impressione che la previsione dei terremoti, e l'evacuazione prima delle scosse, stessero per diventare consuete, ma un quarto di secolo dopo il progresso è stato purtroppo minimo (Scholz 1997).

Nel 1999 il Servizio Geologico statunitense (USGS) emise un comunicato per informare il pubblico che c'era una probabilità del 86% che un terremoto di magnitudo 7 potesse colpire la California meridionale nei prossimi 25 anni. Questo è un tipico esempio di una previsione a lungo termine che potrebbe, o non potrebbe, incentivare azioni di adeguamento degli edifici alle norme sismiche e di pianificazione di emergenza, ma che non inciderà molto con le preparazioni a corto termine. Quindi, nel comunicato non era incluso dell'informazione sulle regole di comportamento da seguire. Purtroppo, la stessa cosa è vera anche per le previsioni a corta scadenza emesse dall'USGS nella California. Così nel giugno 1988 e agosto 1989 l'USGS pubblicò dei comunicati per annunciare una probabilità del 5% che un terremoto con magnitudo superiore a 5,1 potesse avvenire nella regione della baia di San Francisco durante alcuni periodi specifici di durata 5 giorni. Inoltre, nel 1986 il medesimo USGS aveva avvisato il pubblico che una zona della California meridionale era soggetto ad un rischio del 20% di un sisma di magnitudo superiore al 5,1 durante un periodo di 30 giorni. In tutti questi casi, non si è verificato nessun terremoto. Anche se fosse successo, le previsioni erano troppo vaghe per permettere l'emissione di un messaggio inequivocabile di preavviso (Ambraseys 1990). Nelle aree sotto considerazione, un sisma di magnitudo 5,1 potrebbe causare soltanto spavento tra la popolazione, ma uno di magnitudo 8,0 sicuramente provocherebbe danni massicci e un grande numero di infortuni, ma quale evento era atteso? Che cosa poteva essere fatto per prepararsi per un sisma che poteva verificarsi in un periodo di 30 giorni, o anche in uno di 5 giorni? Sicuramente non aspettare all'area aperta per la durata dell'allarme.

La ricerca socio-scientifica indica che la specificità del preavviso incide molto con il suo grado di successo. Ad esempio, in uno studio dei processi di preallarme prima dell'eruzione del 1980 di Monte St Helens (stato di Washington, USA), il 20% dei residenti dei paesi a rischio era disposto a credere nei preavvisi vaghi mentre un aumento alla specificità dei messaggi aumentava la proporzione al 50% (Perry e Greene 1983). In entrambi i casi il percentuale fu relativamente basso, ma la differenza tra le due cifre è nondimeno notevole.

Intanto, l'USGS emise ulteriori bollettini di previsione nel 1992 e nel 1993 riguardo un terremoto imminente di magnitudo 6 che aveva una probabilità del 90% di verificarsi a corta scadenza nelle vicinanze del paese di Parkfield nella California meridionale. Invece di un'evacuazione generale dell'area, la popolazione di Parkfield aumentò da 34 a diversi centinaia, a causa dell'influsso di rappresentanti dei mass media, vari ricercatori, e uno sciame di persone curiose (Fitzpatrick 1994). Di nuovo, non si è verificato un terremoto, e meno male, data la situazione!

Da questi eventi si può trarre diverse lezioni (USGS 1994). La prima è che il preavviso al pubblico dipende dall'accuratezza delle previsioni scientifiche. La seconda è che nessun preavviso porta una probabilità del 100% che l'evento atteso si verificherà nel modo e nel periodo previsto. Ci sarà sempre un margine di errore e la possibilità che si verifichi un falso allarme, il quale potrebbe diminuire la credibilità del sistema di allerta (Breznitz 1984). Comunque, la ricerca ha recentemente dimostrato che non è necessariamente vero che la sindrome del "gridare lupo" renda meno credibile i preavvisi futuri (Atwood e Major 1998). La terza lezione è che i preavvisi saranno utili in termini pratici soltanto se includono istruzioni esplicite e valide su quali azioni prendere per evitare o ridurre l'impatto dell'evento atteso. Questo è possibile soltanto quando si tratta di preavvisi a corta scadenza di eventi che hanno un'alta probabilità di avvenire come previsto.

È essenziale che le persone preavvisate considerino credibili le fonti dei messaggi. In Bangladesh, Haque e Blair (1992) hanno trovato che un terzo dei residenti rurali e un quinto di quelli urbani intervistati dopo il ciclone del 1991 non hanno creduto nei preavvisi emessi dal governo, indubbiamente perché non consideravano il governo un ente fidabile, abituato a dire la verità. Eppure in altri paesi le fonti ufficiali solitamente hanno la più alta credibilità, e i gruppi di pari la più bassa. I mass media cadono tra questi estremi, sebbene possono sembrare più attendibili nell'assenza di messaggi provenienti da fonti governative (Burkhardt 1991). In ogni caso, più il pubblico discute il senso di una minaccia, più credibile sembrano i preavvisi. Però, la ricerca negli Stati Uniti indica che i riceventi di preavvisi che li condividono con i propri parenti stanno più tempo a discutere che fare che dibattere se il messaggio corrisponde alla verità o meno (Drabek 1969).

I ricercatori in questo campo hanno lavorato a lungo per costruire una tipologia delle persone che rispondono ai preavvisi (Drabek 1986, p. 79). Sembra che la risposta migliore avvenga nelle persone di età compresa tra il 21 e il 40 anni e nelle donne, sebbene la differenza tra i sessi sia minore nelle persone con più imponenti titoli scolastici. Il ceto socio-economico non sembra di essere molto correlato con la capacità di credere nei preavvisi, dato che né i poverissimi, né i ricchissimi accettano molto bene i messaggi, forse perché i primi considerano i disastri come inevitabili e i secondi si sentono isolati dal pericolo. In genere, gli anziani sono meno capaci di ricevere, interpretare e credere nei preavvisi rispetto alle persone giovani, forse a causa delle difficoltà cognitive che avvengono con l'età (Perry e Lindell 1997). Livelli bassi di coinvolgimento e di integrazione nella comunità significano che certe minoranze etniche e sociali ricevono e utilizzano i messaggi di preavviso meno facilmente rispetto alla maggioranza della popolazione, sebbene in molti casi si possa risolvere questo problema con l'impiego di messaggi scritti esplicitamente per questi gruppi, ad esempio nella loro lingua madre, se non è quella della maggioranza, oppure osservando particolari norme culturali. In ogni caso, i segni visibili di un disastro pronto per succedere (un cielo nero, un fiume colmo di acqua) aumentano la probabilità che un preavviso venga accettato da chi lo riceve (Perry et al. 1981).

La conferma del preavviso da parte del pubblico

Quando il primo preavviso viene ricevuto dalla popolazione molte persone cercano conferma della veridicità dei fatti descritti nel messaggio. Per una singola persona, il processo di conferma consiste nel controllo delle indicazioni contenuti nel messaggio, la valutazione dei propri rischi, forse tramite la stima della sua prossimità alla fonte del pericolo, e l'organizzazione logistica della propria risposta al pericolo. Alcuni ricercatori scrivono che una conferma che abbia successo può essere considerata una forma di secondo messaggio di preavviso. Altri hanno trovato che i tempi di preavviso piuttosto lunghi, i messaggi trasmessi ripetutamente, e la gente che ha molta esperienza del pericolo, stimolano più persone a cercare la conferma del preavviso (Drabek 1986, p. 72).

La ricerca dimostra anche che il preavviso si conferma maggiormente tramite osservazioni personali. Se i segni del pericolo non sono visibili, la gente può avere scarsa fiducia nel messaggio di preallarme. Così, gli automobilisti che sentono un preavviso trasmesso per radio lo possono ignorare affinché non vedono, ad esempio, l'acqua che fuoriesce dal fiume o la polizia che sbarra la strada e il problema viene rivelato di essere immediato (Perry et alii 1983). Una seconda forma di verifica viene chiamata la conferma latente. In questa, si cerca un paragone tra ciò che sta succedendo e ciò che si crede abitualmente. Se il preavviso coincide con le proprie credenze, la persona lo accetta volentieri. In questo contesto, gli individui che hanno poca esperienza del pericolo in questione sono più propensi ad ignorare i preavvisi perché dispongono di pochi punti di riferimento che possono aiutarli a valutare l'informazione che ricevono (Perry et alii. 1981).

I preavvisi vengono confermati anche tramite l'interazione sociale. Spesso questa avviene per via di un appello alla propria famiglia, agli amici, ai colleghi di lavoro o ai vicini di casa (Drabek 1969). Comunque, la ricerca indica che, disponendosi meccanismi diversi di controllo sociale, i gruppi di pari (cioè, di colleghi o amici) rinforzano la tendenza a non credere nei preavvisi, mentre le famiglie danno luogo alla tendenza opposta, anche se esse ritardano le attività protettive affinché non abbiano accertato la sicurezza di tutti i loro membri (Quarantelli 1960). Sia i pari che le famiglie sono esempi di gruppi relativamente omogenei, e la ricerca dimostra che questi sono meno efficaci nel rinforzare la credibilità dei preavvisi rispetto ai gruppi più estesi e più eterogenei (Drabek 1986, p. 81). In qualsiasi caso, le persone che non obbediscono ai preavvisi possono essere indotte a cambiare atteggiamento quando osservano che, ad esempio, molti dei vicini di casa stanno evacuando le proprie case. Questa è una forma di comportamento imitativo, il frutto di pressioni sociali che impongono un senso di conformismo sulle singole persone.

L'ultimo tipo di comportamento atto a confermare il preavviso, che è in alcuni sensi quello più razionale, è l'appello alle autorità, cioè, agli ufficiali pubblici. La ricerca indica che la gente apprezzerebbe e utilizzerebbe un numero telefonico da chiamare per confermare i messaggi di preavviso. Ma l'esperienza ci dice che i centralini verrebbero tempestati di richieste di conferma anche se è probabile che solo una minoranza dei cittadini li telefonerebbe (Perry et al. 1980).

Gli ostacoli percettivi al preavviso

Quando un messaggio di preavviso è destinato a raggiungere un grande numero di persone, quello che si sente e si crede può variare moltissimo da una persona all'altra. Oltre 50 anni di ricerca sulla percezione delle calamità naturali, e ben 30 sulla percezione del rischio, hanno dimostrato che ci sono larghe variazioni nel modo in cui le persone percepiscono i rischi che corrono (Wildavsky e Dake 1990). Quindi, non è sorprendente il fatto che anche la percezione dei messaggi di preavviso è un fenomeno complesso, sebbene per fortuna dotato di alcune regolarità (Quarantelli 1984).

La ricerca dimostra che esiste un continuo tra la reazione istantanea al primo messaggio, attraverso la ricerca di una conferma, all'inerzia e alla totale inabilità di reagire al preavviso (Drabek 1969). In essenza, le persone rispondono ai preavvisi in base alla loro conoscenza, l'esperienza e le credenze (cioè, in base a fattori di personalità), ma il loro comportamento può variare anche secondo fattori momentanei di interazione sociale (cioè, la condivisione del rischio con altre persone), e in base a che cosa vedono. I segni visivi del cattivo tempo, del fiume in pieno, o del lavoro dei volontari possono stimolare le persone a reagire molto più dei messaggi emessi quando il cielo è ancora azzurro, o il fiume scorre ancora tranquillo (Nigg 1995).

È bene ricordarsi che il panico (Alexander 1995) non è una risposta comune ai messaggi di preavviso anche se i pubblici ufficiali che devono decidere se preavvisare o meno spesso lo temono (Ikeda 1982). Solitamente, le persone tendono a minimizzare qualsiasi informazione conflittuale o minacciosa che ricevono. Nuova informazioni vengono integrate con circostanze conosciute e familiari tale da rassicurare la persona. La prima tendenza è quella di cercare l'interpretazione meno minacciosa delle informazioni, specialmente se quest'ultima è vaga tale da lasciare spazio a diverse interpretazioni. Così, le persone non credono di essere in immediato pericolo affinché le circostanze non dimostrino incontrovertibilmente il contrario. Questo si chiama la tendenza alla normalità (in inglese, normalcy bias), secondo la quale la prima risposta al messaggio di preavviso è di non credere e non mutare il comportamento normale (Drabek 1986, p. 72). Janis e Mann (1977) hanno definito questo uno stato di inerzia inconflitta, la tentazione di sottovalutare i rischi e di non rispondere ad un preavviso (Irish e Falconer 1979).

Anche i preavvisi che danno luogo a buone risposte da parte dei riceventi possono dare luogo alcuni comportamenti devianti. Così, dopo i preavvisi di maremoto emessi a Hilo, nelle Hawaii, nel 1961, e a Crescent City, California, nel (Anderson 1970) 1964 e nel 1986, una piccola proporzione di persone rifiutò di evacuarsi ai terreni alti e invece andò al porto per osservare l'arrivo delle onde. L'ultimo caso finiva in un falso allarme ma nei primi due le persone morirono annegate. È quindi chiaro che i preavvisi che specificano comportamenti obbligatori da seguire devono essere accompagnati da decisi interventi delle forze dell'ordine, anche se questi saranno difficili e rischiosi.

Chi non rispetta i preavvisi può soffrire di dissonanza cognitiva, il senso di disagio provocato dall'atto di credere in due cose contrastanti. In questo caso si crede nella veridicità del messaggio di preavviso, ma si soffre anche dalla mancanza di uno stimolo sufficiente da prendere le precauzioni indicate nel messaggio (Preston et al. 1983).

I requisiti di un preavviso efficace

Non c'è dubbio che i buoni preavvisi diano luogo ad un migliore comportamento protettivo. Consideriamo il caso di due disastri provocati negli Stati Uniti da trombe d'aria. Nel primo, a Flint (Michigan) nel 1959, i preavvisi non erano sufficienti. Tra i sopravvissuti interpellati dopo la catastrofe, il 27% diceva di aver cercato riparo immediatamente che suonavano le sirene, il 48% controllava il cielo per vedere se ci fossero nuvole minacciose, e il 25% non cambiava il proprio comportamento. In contrasto, il preavviso era molto più efficace per la tromba d'aria che colpì la città di Kalamazoo, Texas, nel 1979, anche se essa provocò la morte di 47 persone. Il 48% delle persone intervistate correva ai rifugi, il 22% verificava lo stato del cielo e il 18% ignorava il preavviso. Il miglioramento del processo di preavviso è riuscito ad invertire i percentuali rispetto al disastro del Michigan, sebbene sia ovvio che c'era scopo per alcuni ulteriori miglioramenti (Foster 1980).

Il successo di un preavviso viene misurato in termini del grado di corrispondenza tra le istruzioni emesse e la risposta della popolazione. I messaggi sono più credibili quando essi sono ricchi di informazione, chiari, specifici, accurati, ben mirati, ripetuti e consistenti (cioè, un messaggio non deve entrare in conflitto con un altro), e quando vengono emessi da una fonte che è percepita come ufficiale e attendibile, ad esempio, la polizia, i vigili del fuoco, o le autorità di protezione civile (Drabek 1986, p. 93). È necessario specificare chiaramente la risposta al pericolo desiderata dalle autorità. Nel caso di una chiamata ad evacuare, ci deve essere abbastanza tempo per ricevere il messaggio e completare l'operazione di ritiro prima che l'impatto abbia inizio. Inoltre, ci deve essere una chiara indicazione di quanto tempo c'è per completare l'evacuazione, quali mezzi di trasporto da usare, quali rotte da seguire, e, se è rilevante, dove sono ubicati i centri di ricevimento degli evacuati.

I messaggi più efficaci vengono disseminati attraverso la migliore combinazione di mezzi. Essi vengono ripetuti diverse volte per assicurarsi che la popolazione a rischio abbia ricevuto l'informazione. La reazione delle persone preavvisate viene monitorata. Dove è insufficiente, oppure inadatta, i successivi messaggi di preallarme vengono riformulati e ritrasmessi, e dove necessario altri mezzi di diffusione dell'allarme vengono adoperati (Foster 1980, p. 203). I messaggi devono essere rinforzati socialmente al livello locale in modo tale che essi non siano percepiti come troppo remoti da necessitare l'azione (Drabek 1969). Il rinforzo sociale può essere compiuto tramite la presenza consistente nell'area a rischio di pubblici ufficiali, con il quale il cittadino può confermare il preavviso e chiedere precisazioni, o tramite un numero verde per chiamare per ottenere ulteriori informazioni (Perry et alii 1980).

Il ruolo della ricerca sociale è fondamentale nella progettazione, nell'applicazione e nella valutazione di un sistema di preallarme. In un caso molto ben conosciuto, il preavviso di straripamento del fiume Tamigi a Londra centrale, la ricerca fu impiegata soltanto durante la fase di valutazione delle esercitazione, non nella progettazione del sistema. Così, un'indagine fu commissionata per studiare la reazione del pubblico alla costosa e estesa campagna pubblicitaria che aveva preceduta l'esercitazione. Il sondaggio rivelava che tutte le preparazioni per l'alluvione furono pressoché inutile. Quando suonavano le sirene, il mezzo di preallarme preferito in questo caso (e uno che veniva descritto dal Quarantelli (1980) come il più inefficace sistema di preavvertenza), solo il 50% della popolazione ha sentito l'urlo: di questi, il 30% non ha capito di che cosa si trattava e il 60% non sapeva che cosa fare. Sarebbe stato più efficiente studiare la percezione dei londinesi del preallarme di alluvione prima di progettare il sistema, non soltanto dopo (IDI 1981, p. 44).

Citazioni

Alexander, D.E. 1993. Natural Disasters. UCL Press, Londra, e Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 632 pp.

Alexander, D.E. 1995. Panic during earthquakes and its urban and cultural contexts. Built Environment 21(2/3): 171-182.

Ambraseys, N.N. 1990. Can an earthquake prediction and warning system be developed? Earthquakes and Volcanoes 22(5): 204-205.

Anderson, W.A. 1970. Tsunami warning in Crescent City, California, and Hilo, Hawaii. In Committee on the Alaska Earthquake (curatore) The Great Alaska Earthquake of 1964: Human Ecology. National Academy of Sciences, Washington, D.C.: 116-124.

Atwood, L.E. e A.M. Major 1998. Exploring the "cry wolf" hypothesis. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 16(3): 279-302.

Breznitz, S. 1984. Cry Wolf: the Psychology of False Alarms. Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale, New Jersey.

Burkhardt, F.N., 1991. Media, Emergency Warnings and Citizen Response. Westview Press, Boulder, Colorado, 152 pp.

Burton, I., R.W. Kates e G.F. White 1993. The Environment as Hazard (2nd edn). Guilford Press, New York, 304 pp.

Drabek, T.E. 1969. Social processes in disaster: family evacuation. Social Problems 16: 336-349.

Drabek, T.E. 1986. Human System Response to Disaster: an Inventory of Sociological Findings. Springer-Verlag, New York, 509 pp.

Fitzpatrick, C. 1994. The first "A" alert of the Parkfield earthquake prediction experiment: a description of organizational response. International Journal of Mass Emergencies and Disasters 12(2): 183-197.

Foster, H.D. 1980. Disaster Planning: the Preservation of Life and Property. Springer-Verlag, New York, 275 pp.

Hall, M.L. 1990. Chronology of the principal scientific and governmental actions leading up to the November 13, 1985, eruption of Nevado del Ruiz, Colombia. Journal of Volcanology and Geothermal Research 42: 101-115.

Haque, C.E. e D. Blair 1992. Vulnerability to tropical cyclones: evidence from the April 1991 cyclone in coastal Bangladesh. Disasters 16(3): 217-229.

IDI 1981. The Physical and Social Consequences of a Major Thames Flood. International Disaster Institute, Londra.

Ikeda, K. 1982. Warning of disaster and evacuation behavior in a Japanese chemical fire. Journal of Hazardous Materials 7: 51-62.

Irish, J.L. e B. Falconer 1979. Reaction to flood warning. In R.L. Heathcote e B.G. Thom (curatori) Natural Hazards in Australia. Australian Academy of Science, Canberra: 313-329.

Janis, I.L. e L. Mann 1977. Decision Making: A Psychological Analysis of Conflict, Choice, and Commitment. Free Press, New York.

McLuckie, B.J. 1973. The Warning System: A Social Science Perspective. National Weather Service, NOAA, Washington, D.C.

Nigg, J.M. 1995. Risk communication and warning systems. In T. Horlick‑Jones, A. Amendola e R. Casale (eds) Natural Risk and Civil Protection. Spon, Londra: 369-382.

Perry, R.W. e M.R. Greene 1983. Citizen Response to Volcanic Eruptions: the Case of Mount St Helens. Irvington Publishers, New York, 145 pp.

Perry, R.W., M.R. Greene e M.K. Lindell 1980. Enhancing evacuation warning compliance: suggestions for emergency planning. Disasters 4: 433‑449.

Perry, R.W., M.R. Greene e A. Mushkatel 1983. American Minority Citizens in Disaster. Battelle Human Affairs Research Centers, Seattle.

Perry, R.W. e M.K. Lindell 1997. Aged citizens in the warning phase of disasters: re‑examining the evidence. International Journal of Aging and Human Development 44(4): 257-267.

Perry, R.W., M.K. Lindell e M.R. Greene 1981. Evacuation Planning in Emergency Management. Lexington Books, Lexington, Massachusetts, 199 pp.

Preston, V., S.M. Taylor e D.C. Hodge 1983. Adjustment to natural and technological hazards: a study of an urban residential community. Environment and Behaviour 15(2): 143-164.

Quarantelli, E.L. 1960. A note on the protective function of the family in disasters. Marriage and Family Living 22: 263-264.

Quarantelli E.L. 1980. Evacuation Behavior and Problems: Findings and Implications from the Research Literature. Disaster Research Center, Ohio State University, Columbus, Ohio.

Quarantelli, E.L. 1984. Perceptions and reactions to emergency warnings of sudden hazards. Ekistics 51(309): 511-515.

Scholz, C. 1997. Whatever happened to earthquake prediction? Geotimes 42: 16-19.

USGS 1994. Earthquake research at Parkfield, California, for 1993 and beyond. Report of the U.S. National Earthquake Prediction Evaluation Council Working Group. U.S. Geological Survey Circular 1116, 14 pp.

Weather 1988. The storm of 15-16 October 1987. Weather 43(3): 65-142.


Wildavsky, A. e K. Dake 1990. Theories of risk perception: who fears what and why? Daedalus 119(4): 41-60.