martedì 29 aprile 2008

L'assicurazione contro i disastri: un contesto per la ricerca di una soluzione italiana al problema


Al momento di scrivere questo articolo, una nuova legge per creare una assicurazione nazionale contro le catastrofi è in via di approvazione. Essa cambierà sostanzialmente il modo di rimborsare i danni causati dai disastri e sposterà l'onere parzialmente dallo stato al cittadino. Questo articolo esaminerà alcune delle questioni e dei dilemmi legati all'assicurazione contro i disastri in un contesto non soltanto italiano, ma delle iniziative mondiali nel settore.

A livello mondiale, il costo medio annuale di tutti i disastri è aumentato da $40 miliardi negli anni '70 a circa $150 miliardi alla fine degli anni '90, con dei picchi molto più alti negli anni "neri" come il 1995. In parte, questa situazione risulta da una contabilità più completa: ormai, si prendono in considerazione, non soltanto i danni diretti dei disastri, ma anche la perdita di produzione e di vendite, addirittura la perdita dell'immagine commerciale, fattori che sono stati ignorati nelle vecchie compilazioni. Sia il numero di fabbricati a rischio che il loro valore è sempre in aumento. Ad esempio, nelle parti degli Stati Uniti a rischio di uragani, dal 1988 al 1993 il valore degli immobili commerciali è aumentato del 193% e quello delle case del 166%. Anche la complessità tecnologica della vita moderna incide. Quali sono le conseguenze, per esempio, di non poter consegnare, a causa di un disastro, i componenti ad una fabbrica che le monta secondo il sistema just in time, in cui non c'è una scorta di pezzi, ma una dipendenza assoluta sulla pronta consegna? Oppure, quanto vale il trasferimento elettronico del denaro nei giorni in cui i danni dovuti ad una catastrofe lo impedisce?

Il costo del peggior disastro mai registrato sembra di aumentare di un ordine di magnitudine con il passare di ogni decennio. Era $3 miliardi dopo l'uragano Agnes nel 1972, $25 miliardi dopo l'uragano Andrew nel 1992, e ,131,5 miliardi dopo il terremoto di Hanshin-Kobe in Giappone nel 1995. Per di più, si prevede una perdita di $2.100 miliardi nel prossimo terremoto che interesserà l'area metropolitana di Tokyo. A livello mondiale, i disastri meteorologici successi negli ultimi 10 anni hanno dato luogo ad un aumento di 3,4 volte nei rimborsi assicurativi. Prima del 1987 c'era una sola catastrofe che ha suscitato pagamenti in eccesso di $1 miliardo da parte delle compagnie di assicurazione; ormai gli eventi del genere sono comuni ogni anno.

In tutto il mondo si riconosce il fatto che le risorse dello stato non sono sufficienti per ricompensare le perdite sostenute nei disastri da singoli proprietari. Mentre i fondi a disposizione sono stati ridotti da rigori fiscali, il nuovo ordine mondiale del libero capitalismo ha dato enfasi all'individualismo e al provvedere per se stesso. In corrispondenza, la rete della sicurezza sociale è diventata progressivamente più precaria e insufficiente.

D'altronde, si usa colloquialmente il termine "denaro del perdono" per il compenso senza restrizioni offerto dallo Stato alle vittime dei disastri, poiché tali somme non incoraggiano le stesse vittime a ridurre i rischi che corrono. Infatti, l'esperienza dice che il denaro del perdono può incoraggiare le persone intraprendenti ad assumere rischi ancora più imponenti. Quindi, la questione è come diminuire gli oneri dello stato e nello stesso tempo incoraggiare la gente a mitigare il proprio rischio di danni nel prossimo disastro. Purtroppo, le risposte non sono semplici.

Per cominciare, il principio della libertà di scelta è incompatibile con l'obbligo di gestire i propri rischi secondo un piano dettato dal governo. Ma se i proprietari liberamente rifiutano di ridurre i rischi di danno o altre perdite, sarà politicamente difficile non compensarli lo stesso, perché sono anche cittadini votanti. Persino negli Stati Uniti, dove in teoria il piano nazionale contro le alluvioni nega l'assistenza federale a chi non si assicura, in pratica sovvenzioni e prestiti a basso tasso di interesse vengono ancora erogati a chi sostiene perdite in un disastro ma non si è assicurato. Un altro dilemma è quello dei proprietari e locatori di locali che per povertà non hanno le risorse per abbassare i rischi rendendo, ad esempio, le proprie case sicure contro le alluvioni o i terremoti.

Data questa situazione, e la crescente tendenza a trasferire le responsabilità pubbliche al settore private o alle aziende municipalizzate, grande attenzione viene attualmente prestata alla questione dell'assicurazione. Il principio di base è molto semplice: tramite modesti investimenti periodici, i proprietari o gli stipendiati possono condividere i propri rischi mettendo da parte fondi comuni per compensare chi di loro nel futuro denuncia perdite. Se il sistema risultante fosse così semplice!

Tanto per iniziare, i problemi attuativi sono sostanziosi. Ad esempio, se tutti i proprietari di casa in una regione dovessero assicurarsi contro il rischio delle frane, chi abita in pianura pagherebbe per un rischio al quale non è esposto e verserebbe una sovvenzione a chi abita sui versanti instabili. Se, invece, i rischi fossero proporzionati al grado di rischio, chi abita su un versante ripido o instabile pagherebbe un premio eccessivamente alto. Inoltre, si tende ad assumere che i rischi siano ben conosciuti, cosa che richiede lunghe e costose indagini di cartografia del tipo che ancora non molto comune. L'esperienza internazionale ci insegna che un certo livello di sussidio è necessario per mantenere lo schema assicurativo in piedi oppure chi abita in zone di maggior rischio di disastro rifiuterà di assicurarsi per l'elevato costo dei premi. Infatti, in Giappone, solo il 7,3% dei proprietari di casa possiede una polizza contro i danni causati da terremoto, dato l'elevato costo di questo tipo di assicurazione.

Inoltre, anche se le zone a rischio di calamità naturali e gli intervalli medi di ricorrenza tra i successivi disastri sono ben conosciuti, l'andamento dei disastri è fortemente irregolare (quelle naturali, comunque, prevalgono su quelle tecnologiche in misura 9 ad 1). Anche se alcuni disastri, come i terremoti hanno intervalli di ritorno relativamente regolari, a causa della necessità che si accumuli una deformazione nella crosta terrestre, altri, come le alluvioni sono molto più irregolari. Quindi, anche se dice che un'alluvione di una determinata entità ha un periodo medio di ritorno di cento anni, questo non restringe la probabilità che un'altra alluvione del genere accada l'anno prossimo. Così, negli anni '30 la media valle del Mississippi ha avuto diverse grosse alluvioni in breve tempo, le quali hanno mandato in fallimento gli schemi di assicurazione.

Un ulteriore problema è la disponibilità della gente di assicurare la loro proprietà volontariamente. Uno studio eseguito dopo l'alluvione del 1996 sul Fiume Rosso in North Dakota (USA) ha rivelato che ben 95% dei proprietari sapevano di poter assicurare la casa contro le esondazioni, ma solo il 20% aveva comprato una polizza. Almeno la metà di chi ha subito danni in questo disastro sapeva di essere a rischio e quasi la metà credeva che le sovvenzioni governative sarebbero state insufficienti come risarcimento. Persino nella valle di San Fernando in California, sito di un rovinoso terremoto di magnitudo 6,6 del 1971, solo tra il 25% e il 45% dei proprietari hanno comprato polizze contro i danni sismici (e queste, però, rimborseranno soltanto il 90% delle perdite).

Malgrado questo, il numero di polizze rilasciate continua ad aumentare, soprattutto nel periodo immediatamente dopo un disastro. Ad esempio, nel 1997 le alluvioni del Niño in California hanno dato luogo ad un aumento del 71% nella vendita delle polizze anti-alluvione. A Kobe in Giappone, il 3% dei proprietari di casa fu assicurata contro i danni sismici prima del terremoto del 1995 e il 12,2% dopo.

A livello mondiale, la percentuale delle perdite dirette (cioè, quelle dovute a danni) nei disastri naturali che vengono rimborsati dalle compagnie assicurative è stato stimato variamente tra il 9,4% e il 24,6%. La cifra varia sostanziosamente tra un paese, e un disastro, e l'altro : ad esempio, meno del 2% dei $24 miliardi di danni causati dalle alluvioni cinesi del 1996 sono stati ripagati dal fondo assicurativo; il 15% delle perdite di $5,3 miliardi causati dalle alluvioni in Europa centrale nel 1997 sono stati risarciti dall'assicurazione, ma il 72% dei danni provocati da uragano Andrew nel sudest degli Stati Uniti erano assicurati.

In contrasto con molte altre forme di assicurazione, le polizze contro i rischi di disastro naturale soffrono da una mancanza di dati attuativi. Anche se le zone a rischio sono ben conosciute, e gli intervalli di ritorno sono codificati, c'è generalmente un'insufficienza di dati sugli effetti dei disastri. Per questo motivo, alcune delle maggiori compagnie assicurative hanno commissionato grossi progetti di studio, oppure hanno allestito attivi dipartimenti di ricerca, per poter caratterizzare l'andamento degli impatti. Ad esempio, un gruppo di ricercatori dell'Università del Massachusetts negli Stati Uniti ha lavorato per 20 anni sulla costruzione di un quadro delle perdite nei disastri in America, tramite decine di migliaia di telefonate a proprietari e vittime. È stato possibile dimostrare che le perdite erano consistentemente in forte aumento. Tuttavia a livello mondiale tale lavoro è ancora all'inizio e molte cose rimangono da fare. In questo caso, i disastri naturali non possono essere paragonati con, ad esempio, gli scontri in automobile, per i quali esiste un'ampia casistica tale da poter stabilire con precisione i parametri del rischio assicurativo.

Il problema di perdite irregolari e statistiche incerte ha comportato una certa instabilità finanziaria nell'industria dell'assicurazione. Nel 1992 le perdite causate dall'uragano Andrew negli Stati Uniti hanno mandato in fallimento ben 9 compagnie assicurative di piccole e medie dimensioni. L'industria dell'assicurazione ha raddoppiato i suoi sforzi di promuovere ricerca sulle tempeste e sulla riduzione dei danni che esse causano, e ha fondato a Boston un ente di ricerca, l'Istituto per la Sicurezza delle Case e delle Imprese (Institute for Business and Home Safety). Analoghe preoccupazioni in Europa hanno spinto la City di Londra a fondare un centro di ricerca (il Benfield Natural Hazards Research Centre) a University College London, il quale oltre a eseguire ricerche accademiche risponde direttamente alle esigenze della compagnia sponsorizzante.

Per l'industria assicurativa la questione scottante è come sopportare rapidi, massicci flussi di domande di risarcimento in seguito a disastri con un alto tasso di distruzione. Per la maggior parte, i meccanismi sono distribuiti tra il settore privato e quello pubblico. La sottoscrizione privata coinvolge l'industria della riassicurazione, gli assicuratori degli assicuratori, per dire. Lloyds di Londra, Skandia di New York, Munich Re di Monaco di Baviera, Swiss Re di Zurigo sono tra i principali riassicuratori, sebbene con gradi di impegno nel settori dei disastri cha varia da una compagnia all'altra e da un periodo ad un altro. Non è, purtroppo, questione di un impegno in costante aumento. Invece, le compagnie sembrano disposte sia a coinvolgersi sia a ritirarsi dal mercato. Il Olanda uno schema di assicurazione contro le alluvioni, nato a gennaio del 1995 è stato bruscamente cancellato dopo le alluvioni del mese successivo, che hanno dimostrato un rischio che per la compagnia che sponsorizzava l'iniziativa è stato giudicato eccessivo. In seguito, come prima, le popolazioni dei Paesi Bassi rimanevano senza assicurazione contro le alluvioni.

La lezione dell'esperienza statunitense è che un eccesso di impegno nel settore, e il conseguente fallimento delle compagnie private, rende necessario il coinvolgimento del governo come principale sottoscrivente degli schemi, siccome un governo può utilizzare le risorse dei cittadini che pagano le tasse. In America la cessazione dell'assicurazione privata contro le alluvioni negli anni '30 ha dato luogo, dopo 35 anni di attesa, a un programma nazionale di assicurazione. Nel 1999 questo è autosufficiente in base a 4,25 polizze, sebbene un altro grande disastro alluvionale potrebbe creare un deficit largamente più grande di $1 miliardo.

Con 7 grandi zone sismiche, gli Stati Uniti sono preoccupati anche di assicurarsi contro il rischio sismico. Così lo Stato di California ha proposto (sebbene non senza suscitare controversia) una tassa di 0,2-2,4% all'anno sul valore delle case per assicurarle contro il danno sismico. Al livello nazionale si comincia di parlare di un fondo contingente di $2 miliardi per creare uno schema nazionale di assicurazione contro le calamità, le quali sono ben 75 all'anno (in media 36 vengono dichiarati Acatastrofi assicurativi@ perché stimolano domande di risarcimento in eccesso di $5 milioni).

In alcuni casi, le nazioni piccole hanno fatto più progresso di quelle grandi. Dal 1982 la Francia ha avuto un tasso obbligatorio del 9% sulle polizze assicurative per pagare le perdite dovute ai disastri. Per alcuni decenni, la Nuova Zelanda ha ricavato il 5% sulle polizze di assicurazione contro gli incendi per pagare i danni causati da tempeste, trombe d'aria, alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche e frane. Questo programma è stato tanto ammirato e studiato da ricercatori stranieri, ma l'attuale governo nuovo zelandese, sostenitore del capitalismo del mercato, sta tentando di tagliarlo nettamente.

Persino i paesi che denunciano un rischio di calamità molto minore dimostrano un senso di crisi in questo settore. Ad esempio, le alluvioni di aprile e di ottobre del 1998 in Inghilterra hanno causato danni stimati a 550 milioni di sterline (lire 1,570 miliardi) e hanno convinto l'Associazione Britannica degli Assicuratori a chiedere un aumento del 30% dei premi di chi assicura un immobile ubicato vicino ad un fiume.

In questo senso l'industria assicurativa è davanti ad un grande dilemma. Se deve mantenere la sua immagine pubblica e soddisfare i bisogni dei consumatori di assicurazione dovrà aumentare il suo coinvolgimento nel settore delle catastrofi. D'altronde, se aumenta la sua esposizione al rischio finirà di violare i principi di probità finanziaria su cui l'assicurazione dovrebbe essere basata. Il coinvolgimento del governo non è necessariamente ben voluto, siccome potrebbe sembrare un'interferenza eccessiva negli affari del settore privato.

La radice del problema è una riluttanza ad investire il capitale nell'assicurazione contro le catastrofi. I mercati finanziari, specialmente quelli dei buoni e dei futures, non hanno offerto le risorse necessarie. Neanche la crescente tendenza a mettere le risorse in comune ha avuto l'effetto desiderato di rinforzare la solvibilità dell'industria. Nello stesso tempo, il governi, che sentono il bisogno di tassare e spendere meno, non hanno offerto le necessarie garanzie di sottoscrizione.

Per i singoli proprietari, tutto questo significa che i rischi piccoli sono altamente assicurabili mentre lo stesso non è necessariamente vero per quelli grossi. Contemporaneamente i governi del mondo diventano meno capaci e meno disponibili a risarcire i danni.

In fine, le circostanze stesse probabilmente daranno luogo ad una soluzione, siccome la società domanderà un nuovo e più fattibile modo di rimborsare le vittime dei disastri. Questo, in breve, è il contesto in cui si colloca i tentativi italiani di affrontare il problema dell'assicurazione contro i disastri.