In Italia si ha spesso la sensazione che un piccolo cambiamento nei parametri che controllano una certa situazione avrebbe l'effetto di migliorarla parecchio, ma che esistano ostacoli culturali e amministrativi che rendono questo cambiamento difficile o addirittura impossibile. Tale sembra proprio il caso con le nuove iniziative atte a creare piani provinciali di protezione civile. Questo articolo cercherà di spiegare il perché.
I cambiamenti nell'assetto della protezione civile introdotti dalla L. 112 e dalla Riforma costituzionale non hanno cancellato tutta l'ambiguità che ha reso spesso perplessi gli amministratori regionali e provinciali negli ultimi 3 o 4 anni. Anche se il compito di coordinare i piani comunali di emergenza è passato dalle prefetture alle province, al momento di scrivere, sembra ancora incerto se i nuovi Comitati Provinciali di Protezione Civile sostituiranno, assorbiranno, o affiancheranno i CCS del passato, e quale rapporto avranno con i COM locali e, infatti, con l'intera struttura allestita dal Metodo Augustus.
Cominciando con quest'ultimo, l'Augustus è nato da un'interpretazione innovativa ma poco ortodossa del ruolo di un governo federale nel sostenere le operazioni di emergenza dei suoi stati costituenti e delle loro singole città. In questa forma non si trattava di un governo centrale che impone l'organizzazione della protezione civile su livelli successivamente più locali dell'amministrazione pubblica, ma semplicemente di un mezzo di sostegno delle iniziative prese da questi ultimi. Il prototipo fu il sistema di gestione delle emergenze del governo federale statunitense, con le sue 12 funzioni di supporto, un sistema in uso dagli anni '80 in poi.
La Repubblica Italiana si trova in mezzo ad una grande iniziativa di devoluzione, la quale, sfortunatamente, è stata più volte confusa con il processo della creazione di una federazione. Dati i rischi di frammentazione e balcanizzazione associati all'opzione federale, sembra improbabile che il processo politico andrà oltre la delega di certi poteri alle regioni e alle province. Esiste una grande differenza di bilancio del potere tra una repubblica federale e una monolitica con tendenze federative. E' importante ricordare questo fatto quando si tratta di adattare modelli organizzativi di protezione civile.
Il Metodo Augustus ha avuto il pregio di stimolare le preparazioni per situazioni di emergenza a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica. Esso ha costituito una forza di inestimabile valore atta a standardizzare e coordinare i lavori di ben 8500 enti pubblici. Ma sembra che le parti superiori della piramide siano diventate sproporzionalmente grandi rispetto alla base. E' giusto che l'iniziativa si diffonda sempre dai livelli superiori del governo verso quelli più bassi? Oppure, malgrado l'indifferenza e l'inerzia comunemente presenti nei municipi, sarebbe possibile, ed anche desiderabile, costruire il sistema di protezione civile dalla base in su?
L'ultima volta che ho osservato una simulazione nazionale di emergenza in Italia sono stato colpito dal panorama di ben 37 funzioni di supporto a lavoro tra 3 centri operativi (14 a quello del DPC, 14 al CCS e 9 al COC). Ci deve essere un modo più semplice per dirigere l'emergenza.
In questi casi, sarebbe utile introdurre il concetto di Sistema di Comando dell'Incidente (SCI). Questo fu inventato in seguito ad un giorno infernale nell'estate del 1970 quando lo stato di California non riuscì a dirigere bene le operazioni di spegnimento di quasi 200 incendi boschivi, che erano scoppiati insieme in condizioni meteorologiche eccezionalmente favorevole a questo tipo di evento. Le carenze organizzative furono dovute soprattutto a un sistema di comando monolitico e >verticale' non adatto a dirigere tanti interventi separati nello stesso momento. Il nuovo sistema, molto meno gerarchico, è stato sviluppato al punto che un largo e regolare uso venga fatto in molti paesi del mondo. SCI è alla base della pianificazione e della gestione dell'emergenza nella mia stessa Università in America.
In breve, SCI è basato su un processo di direzione dal sito dell'emergenza, magari da un posto avanzato di comando, con il supporto logistico del centro operativo ubicato, generalmente, altrove. La bellezza dello SCI risiede nella sua semplicità e flessibilità. Quando esse raggiungono il sito delle operazioni di emergenza, nuove risorse di manodopera e attrezzi vengono successivamente integrati nella struttura di comando stabilità sin dall'inizio al sito, tramite una serie di regole per la delega di competenze o la formazione di nuclei operativi per compiere particolari attività di intervento tecnico. Il Comandante dell'incidente ha più un ruolo di coordinamento che di comando in senso tradizionale. Il suo lavoro viene particolarmente facilitato con l'impiego dei moderni mezzi di comunicazione e della telematica.
Mentre è di utilità limitata nelle grosse emergenze nazionali, o per lo meno dovrebbe essere combinato con una struttura monolitica di comando, lo SCI sta diventando di regola nel mondo occidentale per la gestione di emergenze dei tipi 'A' e 'B' (rispetto alle definizioni fornite dall'Art. 2 della L.225/1992). Non c'è dubbio che sarebbe utile introdurlo in Italia: infatti, alcuni corpi dei Vigili del Fuoco già usano una versione modificata, sebbene il sistema non abbia ancora una diffusione più generale. Alcuni casi specifici sottolineano l'utilità di un tale approccio: ad esempio, un rapporto recente sulle operazioni di soccorso dopo uno scontro di Pullman a Cesena, con 27 feriti da estrarre dalle lamiere, indicavano carenze di integrazione tra volontari, medici e pompieri. Era un classico problema che lo SCI avrebbe potuto risolvere.
A parte il possibile bisogno di riforma dei processi di intervento tecnico sul sito durante l'emergenza, la transizione dal controllo prefetturale a quello provinciale offre una grande opportunità per risistemare i centri operativi più grandi. Durante una recente tavola rotonda alla quale ero presente, alcuni rappresentanti di amministrazioni regionali e provinciali hanno mostrato una certa perplessità riguardo al ruolo residuo nell'emergenza dei prefetti e delle prefetture, e rispetto a come integrare centri operativi, nuclei di crisi e funzioni di supporto nelle nuove strutture della protezione civile provinciale. Eppure la transizione da CCS a Comitato Provinciale offre un'opportunità perfetta di effettuare il tipo di innovazione che subito porterebbe l'Italia all'avanguardia nel settore. Se gli stessi principi di semplicità e flessibilità che hanno dato luogo allo SCI fossero applicati sistematicamente alla formazione del Comitato Operativo Provinciale (assumendo che quest'organo abbia un ruolo nelle emergenza, una questione ancora da chiarire in alcuni casi), sarebbe davvero uno strumento formidabile di coordinamento. Se, senza perdere il suo ordine fondamentale, potesse essere reso adattabile, in termini di dimensioni e struttura, alle circostanze che cambiano durante l'emergenza, potrebbe essere un perfetto complemento ad uno SCI progettato per gli interventi sul sito.
Seguire gli sviluppi nella protezione civile italiana dal punto di vista di un osservatore esterno, addirittura uno straniero, conferisce la benedizione di una valutazione indipendente ma la maledizione di rischiare di interpretare male quello che si vede. Comunque, gli ostacoli mi sembrano troppo chiari per non essere riconosciuti. Il principale impedimento culturale è l'individualismo, sia personale che istituzionale. Quello organizzazionale risente il fatto che molti aspetti della vita in Italia sono regolati da leggi, mentre in altri paese è sufficiente l'applicazione del buon senso comune. Il risultato è una struttura di protezione civile che ha bisogno di una cura dimagrante nei suoi livelli intermedi. E' quasi come se Augustus Caesar avesse detto: "Più grave è l'emergenza, più complicate devono essere le strutture amministrative che comandano". Ciò nondimeno, stanno nascendo delle forze di snellimento: ad esempio, si aspetta il giorno in cui compilare il numero 112 metterà l'utente subito in contatto con l'intera scelta di servizi di emergenza. Spero che questa occasione sarà indicativa di tendenze più generali nella protezione civile italiana.