In reali situazioni di emergenza e disastro il disordine dello stress post-traumatico (DSPT) è complicato tale da richiedere la presa di decisioni difficili e talvolta agonizzanti, in molti casi senza il tempo e l'informazione necessari per illuminare la gamma di possibili soluzioni. Quindi, la mancanza di una singola risposta 'da manuale' al problema è poco sorprendente. Ma dato che il DSPT è un fenomeno ben conosciuto e largamente ricercato, ormai le soluzioni non mancano.
Come accennava la dott.ssa Ricciardi, alcuni studiosi considerano il DSPT una patologia legata ad errori di programmazione del cervello umano rispetto alle rapide reazioni al pericolo del tipo che nel lontano passato garantiva la sopravvivenza e l'evoluzione della nostra specie.[1] Per altri, invece, è un problema di sintomi psicologici e somatici.[2] Ma mentre alcune reazioni di avversione, ad esempio il panico, furono studiate a partire degli anni 1930, ci è voluto un altro mezzo secolo per arrivare alla precisa definizione del DSPT. Abbiamo, quindi, solo 20 anni di conoscenza scientifica del problema, sebbene siano anni di studio molto intenso. Ancora meno è il periodo di indagini sullo stress dell'incidente critico (SIC), la reazione psicologica di vittime e soccorritori ad eventi di impatto brusco, traumatico e disastroso, il quale costituisce il cuore del problema in discussione.
Dato che le maggiori definizioni elencano ben 17 sintomi, raggruppati in 3 categorie, il DSPT può essere considerato un fenomeno di definizione molto larga.[3] Altrettanto è la gamma di soggetti coinvolti, che comprende vittime primarie (se toccate direttamente dal disastro) e secondarie (se esse denunciano effetti indiretti, come il lutto), lavoratori di emergenza (soccorritori, personale sanitario, disaster manager, ecc.), e professionisti della salute mentale, i quali possono crollare sotto l'effetto di lavorare intensamente con i problemi dei membri delle altre categorie.
Malgrado l'esistenza di alcune centinaia di pubblicazioni sul fenomeno, le stime dell'incidenza del DSPT sono tuttora vaghe: nella spanna della vita delle persone coinvolte, esso può incidere con l'1-25% della popolazione generale, il 20-40% dei combattenti feriti in guerra, il 10-30% delle vittime dei disastri di impatto più brusco, profondo e inatteso, e forse il 10-25%, all'incirca, dei soccorritori di prima linea.
I ricercatori hanno studiato il DSPT sia dal punto di vista clinico che da quello applicativo.[4] Essi hanno:
- studiato le condizioni ambientali e sociali che danno luogo al fenomeno,
- investigato i processi psicologici che lo generano,
- codificato le reazioni psicologiche alle situazioni di stress esagerato,
- raccolto informazioni riguardo l=incidenza del fenomeno sul campo, e
- formulato soluzioni nonché testato la loro efficacia.
Dato che i compiti difficili, pericolosi e traumatizzanti devono comunque essere eseguiti, è molto improbabile che il DSPT possa essere eliminato completamente. Ciò nonostante, la ricerca ci offre una serie di strategie per aiutare a ridurre, evitare o curare il fenomeno. La chiave alla sua gestione è una combinazione di:
- accumulare e disporre risorse in modo tale da ridurre l'incidenza da DPTS tra il personale di emergenza,
- essere sensibile al problema e elaborare piani atti ad affrontarlo prima, durante e dopo i disastri e gli incidenti, e
- sviluppare una leadership all'altezza psicologica della situazione, nella quale il comportamento del leader diventa un buon modello per i suoi seguaci.
Prima del disastro i lavoratori di emergenza possono essere preparati, tramite i corsi di formazione e addestramento che affrontano il problema in modo esplicito, psicologicamente per le situazioni che diano luogo al DSPT. In uno degli studi originali del problema, nell'ambito di un'investigazione post-disastro della tromba d'aria che devasto la città di Worcester, Massachusetts nel lontano 1953, lo psicologo Anthony Wallace trovò che molti soccorritori evitarono il trauma mentale aderendo fortemente ai loro lavori di medici, pompieri, ricercatori di superstiti, ecc.[5] L'abilità di usare il proprio ruolo professionale come scudo contro l'urto psicologico del disastro, cioè di mantenere il distacco necessario per proteggere la propria psiche, può essere potenziata tramite alcune iniziative di formazione specificate nei manuali.[6]
Durante un incidente critico o un disastro, il DSPT può essere limitato utilizzando alcune strategie di pianificazione e gestione, come le seguenti:
- limitare il tempo che i soccorritori trascorrono in ambienti pericolosi o traumatizzanti utilizzando le squadre a rotazione, aumentando la frequenza o la durata delle soste di riposo, prendendo misure per ridurre la stanchezza dei lavoratori, e dividendo le responsabilità tra più persone,
- creare aree primarie e secondarie di ammassamento dei soccorritori e roteando le squadre per brevi periodi tra queste e il sito dell'incidente (ove possibile, le aree di ammassamento dovranno essere attrezzate con posti di ristoro e di assistenza medica per gli stessi soccorritori),
- creare sistemi di gemellaggio o di sorveglianza mutua tra paia di soccorritori, e
- prendere la decisione di ritirare quei soccorritori che mostrano segni di eccessiva stanchezza, stress o disturbo emozionale.
Ormai, le strategie utilizzate per trattare il DSPT e il SIC sono ben sviluppate (vedi nota 6). Esse possono essere divise tra due principali categorie: metodi che socializzano il fenomeno o lo esternano in modo costruttivo, e quelli legati alle tecniche di cura individuale. I primi comprendono le riunioni di debriefing e le cerimonie di commemorazione degli eventi, mentre i secondi riferiscono a terapie psichiatriche, assistenze sociali e cure mediche.
In sintesi, il mondo della protezione civile deve affrontare il problema del DSPT con più serietà. Servono più campagne di informazione, formazione e addestramento. Esistono varie soluzioni al problema, ma la strategia più adatta dipende da circostanze di taglio locale e particolare. Ciò nondimeno, tali circostanze dovrebbero essere previste negli scenari di base che formano la base della buona pianificazione di emergenza e quindi il problema del DSPT dovrebbe essere affrontato già nella stesura del piano. Infatti, un piano che non salvaguarda la salute mentale del personale di emergenza è da considerare incompleto.
Note
[1]. Silove, D. 1998. Psychiatry 61(2): 181-190.
[2]. Taylor, S. et alii 1998. Journal of Abnormal Psychology 107(1): 154-160.
[3]. American Psychiatric Association 1994. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV). American Psychiatric Association, Washington, DC.
[4]. Van der Kolk, B.A. et alii 1996. Traumatic Stress: the Effects of Overwhelming Experience on Mind, Body and Society. Guilford Press, New York; Fullerton, C.S. e R.J. Ursano 1997. Post Traumatic Stress Disorder: Acute and Long-Term Responses to Trauma and Disaster. American Psychiatric Press, Washington, DC.
[5]. Wallace, A.F.C., 1956. Human Behavior During Extreme Situations. National Academy of Sciences, Washington, DC.
[6]. Meichenbaum, D. 1994. On Treating Post-Traumatic Stress Disorder: A Handbook and Practice Manual for Therapy. John Wiley, New York.